lunedì 15 gennaio 2024

Non è una conversazione con Nicola Vukich

  

Perlaluna, frammenti di vetro, legno, d.125cm


Non ho mai registrato le nostre conversazioni, erano chiacchierate, non sempre lineari. Ritenevo che avrei dovuto organizzare meglio le idee - le mie sicuramente e, comprendere le sue - prima di registrare e trascrivere. Facevo fatica a trovare il bandolo, si passava da un discorso ad un altro. Tutto molto faticoso. Poi, passano gli anni, scrivo altro, di altri. Capitano cose come mancati incontri, una pandemia, momenti difficili, incomprensioni. E il tempo finisce. Ci ho messo un po’ a capire che potevo scrivere una quasi-conversazione. Utilizzare i miei ricordi, residuo di quelle conversazioni, scritti di Nicola, documenti fotografici, cataloghi. La rete che dovrebbe fungere da cassa di risonanza e d’archivio non ha restituito molto. Mi sono affidata all’unico sito presente, il suo https://www.nicolavukich.it/. Pertanto, questa non è una conversazione regolare ma il racconto di Nicola Vukich come artista plastico-visivo.

 

Clochard, tela, materiali vari, h 130cm


Bio

<<Mi chiamo Niccola Vukich, nasco a Livorno nel 1972 e vi risiedo, la famiglia paterna è dalmata, di Zara, antica provincia italiana. La famiglia materna è sarda, da diecimila anni. Ho viaggiato molto in Europa, parlo così svariate lingue. In Africa mi sono mosso in Marocco, Libia e Senegal. E’ in Africa nera che ho imparato una lingua orale, non scritta fino alla fine del XX secolo, quella dei venditori, che ho l’occasione di praticare ogni giorno, da trent’anni, sono quasi un madrelingua di cose senegalesi, idioma compreso.

La mia formazione comprende l’esercizio di uno strumento, la chitarra, e la pratica del canto: scrivo liriche in arabo, wolof, broken english (si parla in Nigeria), inglese, albanese, serbo croato, tedesco, spagnolo, francese, italiano. Sono anche l’autore di tre romanzi, uno di questi, un diario africano, è stato illustrato in sedici opere.

Gli studi fatti un po' a volo di uccello, sono comprensivi di una laurea in arte medievale, con una tesi inerente reliquie e reliquiari.

Nella vita di ogni giorno faccio il professore di lingua e letteratura italiana.

Non è che abbia fatto di tutto per fare mostre, concerti o pubblicare libri, ma ho cominciato presto, a Pisa presso lo Studio Gennai quando ero ancora studente, l’anno successivo la galleria Guastalla mi presentò all’Arte Fiera di Milano.

Con Tazzi, Risaliti e Corà, partecipai a un networking sotto l’egida del museo Pecci, che prevedeva cinque esibizioni in diverse città toscane. A Milano tornai con TAD in una simultanea con Roma dove c’era la sede principale di questo grande store alla moda. Sono stato a Cagliari al SAF e a Livorno ho partecipato a altre manifestazioni di carattere locale e curatori provenienti da fuori, Paola Noè, Alberto Salvadori.>>

 

Magia, Pagina da catalogo Macchie in volo, 1997


Tra antenati e relitti

Nicola realizza i primi esperimenti d’arte plastica negli anni novanta durante gli studi universitari, prima a Pisa poi a Roma. Ha vent’anni, artisticamente autodidatta. All’Università frequenta Storia dell’Arte Medievale. Gli studi universitari non confliggono con la voglia di indagare il linguaggio contemporaneo, l'arte antica diviene innesco e materia per l’opera. Seguono anni di interruzioni, malessere e riassestamenti. Livorno con il suo alveare di atelier privati e competizioni mercantili tra artisti, antiquari e gallerie commerciali, nessun museo o istituto d’alta formazione artistica non aiuta[1]. Il malessere personale fa il resto. Negli anni duemila comincia a concretizzarsi il nucleo tematico dei suoi lavori, temi come la dimensione diasporica dell'essere umano, il meticciato, il nomadismo sono ancora acerbi, ma si intravedono. Raccoglie relitti tra spazzatura e cianfrusaglie da antiquariato, si muove tra verifiche Pop, Arte povera alla ricerca di un suo personale linguaggio. Le interruzioni in un percorso non lineare sono parecchie: i viaggi in Senegal, almeno quattro, i ricoveri, i progetti abbandonati poi ripresi. Si laurea a Pisa nel 2011, una tesi sul Reliquiario di San Simeone in Zara. Fa la guida turistica e insegna alle scuole medie. La musica e l’arte plastico-visiva sono in ogni caso sempre al centro.


Galf, 2004 100x80cm


Linguaggio Pop, Arte povera, reliquiari sono la guida. Amedeo Modigliani, Joannis Kounellis, Simone Martini, Pino Pascali, Pietro Lorenzetti, Michelangelo Pistoletto gli artisti di riferimento. L’attitudine al gioco, la riflessione sul linguaggio si ripete spesso in progetti molto differenti, semplici nella concezione e nella restituzione al pubblico. I relitti sono affiancati a dipinti nei quali mescola testo visivo e parola, realizza calembour visuali e verbali. Fotografie datate 2004 documentano quadri come “Mandarino arancione”, “White House”, “Operai”, “Nando”. Dipinti Pop in forma di rebus, tinte piatte, colori brillanti, accostamenti complementari. Sono forse queste le opere esposte a SAF Sardegna quello stesso anno. Altri come “Mela pagherai” “Tre Barche sole” “Portrait du Pablò” “Galf” in una mostra a Livorno nel 2006, forse allo studio Filippelli, dove ha esposto più volte. Un fatto di cronaca politica, avvenuto nel febbraio di quell’anno[2], è citato tra suoi scritti come fatto concomitante la mostra. In questi stessi anni realizza lavori il cui racconto è un mondo che oscilla tra biografia e narrazione letteraria, saga familiare fantastica. “La casa albanese se è di dio è dell’ospite” è datato 2006, stilisticamente appartiene ad una serie di disegni realizzati con incisioni a taglierino su cartone e tinto con pigmenti naturali. Una saga tra fantasia e biografia, là dove la storia personale si intreccia a quella degli antenati. Gli stessi personaggi: soldati, principesse, cavalli, città turrite appaiono nei recenti Lacrimari 2018, frammenti di specchi dipinti a olio e foglia d’oro. Da un racconto:

 

<<Quando i Vuk Vuka poi Vukai, Vuxanni poi Vukic (e Vukich infine) emigrarono muovendo dalla Serbia per L’Albania per finalmente stanziarsi nei furono possedimenti italiani di Dalmazia, la nostra amata patria ancora non aveva raggiunto la vagheggiata unità e gli attuali confini.

Stanislao e Djelka, sguardi distanti e pudichi, i volti già segnati dalla fatica, si stavano interrogando inaspettatamente comodi e soli, sulle balle di grano appena raccolto, sul perché di quel nome di battesimo di quel loro postero, anche lui figlio di un figlio di un figlio, appena concepito.>>

 

Produce i pigmenti naturali come un pittore medievale ma i suoi arazzi sono costruiti con relitti trovati tra la spazzatura. Tra il 2018 e il 2020 realizza una serie di esposizioni Open studio. Nell’aprile 2021 nel Bosco dei Cappuccini, il residuo di un bosco storico risalente al XVI secolo nel centro di Livorno, per GREENCITY Treks allestisce Tam Tam: pittografie colorate su rotoli di stoffa lunghi alcuni metri appese tra un ramo e l’altro sugli alberi. In seguito li cuce rettangolari in vari misure. Lavora a diversi idee rimaste inattuate, tra queste un’installazione ispirata al Cenacolo in Santa Maria delle Grazie, di cui restano bozzetti. Alla fine dell’estate, alcuni amici artisti costituiscono il Collettivo NV e, basandosi sui suoi racconti, realizzano una loro versione dell’installazione. L’opera, definita postuma, è stata esposta al premio Rotonda 2023.

Negli ultimi anni progetta un sito, le opere organizzate nella forma Collettiva di un’artista, sembrano la versione virtuale delle esposizioni Open studio realizzate tra il 2018 e il 2020. E’ un riordino ma non solo. Mette insieme idee, scarta altre, riprende discorsi, ripropone opere esposte per luoghi specifici, riformula e apre nuovi sentieri. Non un vero archivio, piuttosto la selezione delle opere considerate fondamentali, la progettazione di una vera e propria collettiva in una molteplicità di derivazioni linguistiche: la riorganizzazione del lavoro di una vita e la progettazione di opere nuove con la consapevolezza della maturità.

 

Lacrimari, pittura ad olio, specchi, foglia oro, part., 2018


Uno scavo tra cataloghi e note stampa

Dalle note biografiche in I Biennale dei giovani di Pisa 1998, risulta una sua mostra a Livorno per Effetto Venezia già nel 1994 e, allo Studio Gennai a Pisa in Tre nuove proposte, assieme ad Alessio Gerini e Agostino Santoleri, nel 1996. L’anno successivo partecipa con la Galleria Guastalla di Livorno a Mi-Art. Sono gli anni di formazione universitaria a cui seguiranno i viaggi in Senegal. Progetti presi e lasciati, andate e ritorni.

La prima esposizione di cui ho trovato il catalogo è Macchie in volo, a cura di Irene Amadei e Mattia Patti per Effetto Venezia 1997. Sono presenti i primi relitti documentati, un “Senza titolo” (serratura in ferro arrugginito, probabilmente di un antico magazzino, montata su legno) e “Magia”, una scatola con relitto, probabilmente una cima da imbarcazione annodata in più punti, una specie di oggetto scaramantico, qualcosa che ha a che fare con la parte più irrazionale dell’umanità. <<Se io ho scoperto la magia “loro” mi perseguiteranno.>>

Nel 1998 per la I Biennale del giovani, alla Limonaia di Palazzo Ruschi di Pisa, a cura di Ilaria Mariotti e Nicola Micieli espone “Sottosopra” una varechina su Kraft e un’anilina su pasta di legno e spago intitolata “Orizzonti”. E’ chiaro che Nicola sta sperimentando materiali e idee. Alcune fotografie personali, risalenti ai tempi dell’Università, a Pisa (1991-92), ci restituiscono la presenza di questi manufatti quali sfondi di vita privata e documentazione preziosa per una datazione.


pagina da flyer Networking 2002


Si apre il terzo millennio, nel 2001 espone stampe fotografiche su rame. Il soggetto è quasi sempre il frammento di un relitto, l’oggetto fotografato perde in sostanzialità e acquista in concettualità, si fa meno oggetto, per divenire processo mentale. Per la Collettiva 25+8 caratteri: arte visiva e musica a Livorno 1985/2000, a cura di Emma Gravagnuolo, ai Bottini dell’olio di Livorno, presenta “Tempo è denaro” e un “Senza titolo” che ripropone nel 2002 per la mostra itinerante Networking (Monsummano Terme, Prato-Firenze, Livorno, Siena) a cura di Bruno Corà, Sergio Risaliti, Pier Luigi Tazzi. Non ho trovato altri progetti fotografici concettuali, infatti sempre nel 2002 per un’altra collettiva ai Bottini dell’olio, dal titolo Un giorno, a cura di Emma Gravagnuolo e Paola Magni, ritorna al manufatto. La mostra è suddivisa in tre sezioni ovvero le fasi di una giornata: mattino, pomeriggio e sera. Nicola propone la visione del mattino.


Mattino 2002, pagina da catalogo Un Giorno


Realizza un ritratto dal carattere arcaico, una giovane donna con indosso un copricapo d’oro e due trecce risolte in una sequenza di X, anch’esse d’oro. Ricorda un mondo lontano nel tempo e nello spazio. Appena lo vidi pensai potesse rimandare al Grande Diadema del Tesoro di Priamo ma non è strano che la giovane donna del ritratto possa essere la rappresentazione di un’antenata balcanica (la condizione diasporica è uno dei temi affrontati da Nicola anche quando non è esplicitato). In mezzo a queste mostre un altro viaggio in Senegal. Nel 2003 espone in una doppia personale a Livorno con Federico Cavallini a cura di Mattia Patti e Irene Amadei (non so cosa espose). Nel 2004 è presente a SAF Sardegna Arte Fiera a cura di Mauro Cossu, al Poetto di Cagliari. Ancora nel 2004 partecipa alla collettiva Provincie d’arte, Palazzo Panciatichi, Firenze, una selezione di artisti livornesi eterogenea per età e per pratiche, tra i veterani Renato Spagnoli (1928-2019). La mostra è a cura di Cristina Olivieri, Giovanna Carli, Raffaela Maria Sarteriale. Nicola espone “Piramide” un’opera a tecnica mista realizzata con pigmenti a pasta di legno. Appartenenti alla stessa serie sono le opere esposte alla IV Biennale dei Giovani nel 2005 alla Stazione Leopolda di Pisa dal titolo Radici/Contaminazioni a cura di Silvia Bottinelli e Sergio Risaliti. Alcuni titoli: “Alla maniera dei Francesi del 900”, “Decorativo anfora su fondo blu”, “Interno, esterno, vicino, lontano. Ancora nel 2005 partecipa a IDEALOGHI, una serie di mostre a coppie a cura Fabrizio Paperini tenutasi alla Bottega del caffè di Livorno. Una serie di incontri tra artisti in coppia, Nicola presenzia con Cecco Ragni. Espone Baobab, una installazione composta da alcuni pannelli realizzati a tecnica mista su pasta di legno. Colori terrei del deserto. Completa la mostra un focolare e una scultura posizionati su una distesa di sabbia. Baobab è un progetto che va ad ampliarsi negli anni successivi divenendo non soltanto un diario visivo, una narrazione ma pure illustrazione di un racconto diaristico. Nel 2006, con il patrocinio del comune di Livorno, organizza un Mondiale di calcio, fra tutte o quasi le comunità straniere presenti a Livorno (Fabio Leonardi ricorda di averci partecipato). Ho trovato il racconto dell’evento, una sorta di relazione, sul sito di crowdfunding Produzioni dal basso. Affiora molto chiaramente la personalità di Nicola, sono evidenti le tematiche a lui care come conflitto, meticciato, nomadismo, diaspora, gioco, condivisione.


Tempio verde 2018, legno, frammenti di vetro, 40x90cm


Un estratto:

<<Salve, mi chiamo Nicola Vukich.

Alcune delle persone che leggeranno questa pagina mi conoscono, chi più, chi meno. A coloro cui mi sto presentando, e ai miei affetti, dedico queste poche righe.

Vi racconto una cosa: qualche anno addietro organizzai con il patrocinio del Comune di Livorno, un mondiale di calcio (non ho una squadra del cuore) che prevedeva magicamente, oltre alla balda partecipazione della squadra labronica, la partecipazione di tutte (quasi) le comunità straniere presenti nel territorio: ogni equipe giocava quindi ascoltando la musica del paese di provenienza, un tempo ciascuna; molti hanno fatto giocate a ritmo di musica, tiri, passaggi anche un goal.

Alla fine del torneo vinto dal Marocco Football Club, ci rifocillammo insieme al pubblico (io ero telecronista) banchettammo con pietanze tipiche di ogni nazione partecipante, piatti tipici, bibite, dolci preparati dalle comunità stesse.

Il Livorno Football Club fu eliminato al primo turno 0-16 dalla Romania.

Quando si incontrarono sul campo le squadre del Marocco e del Sarawi, era in corso un conflitto bellico fra i due popoli, cioè c'era la guerra, ci furono lacrime di commozione da ambo le parti.

Da allora il mondo dell'immigrazione mi è più caro.

Oggi ho la fortuna di avere nel mio quotidiano, la possibilità di crescere quei rapporti che si instaurarono a partire dal quel 23 luglio 2006. (…)>>

 

Il calcio è un momento collettivo ma anche spazio fisico, gioco, costruzione di relazioni, congegno attivatore di ironia, occasione sociale. Anche qui biografia e letteratura si intrecciano. Da un racconto di Nicola:


<<Gli schiamazzi invece, quelli leciti, cominciavano alle quattro del pomeriggio per legge.

- Passa! Tira! Fallo! Dai! Forza! Dalla! Cinquantun per me libera tuuuutti! Ahiiii! Ueeeeeee! Vaff…Uffaa.

- Uffa.

Quella dei Profughi era nel quartiere l’unica squadra di pallone ad avere più cognomi stranieri (Serpan Persich Zernich, Bani, Udorovich, Tomor…) che italiani, questi ultimi in ogni caso non livornesi: lontani, tipo Arbulla, Carcea, Aloisio, Albanesi.

Anche Rosina Canale di Alemitù giocava a pallone.>>

<< I “Profughi”: un cortile popolare in zona stazione.

Il cortile era un mondo a sé che pulsò di vita propria.

Dal 1952 eravamo il cortile dei Profughi, profughi delle colonie italiane, dove si parlavano diverse lingue quindi italiani, quindi somali, eritrei, libici, jugoslavi, greci, albanesi e via dicendo.

Avevamo come vicini i bambini delle Case Nuove, di Via Del Vigna, Via Montefiore, Chiesina, Le Botteghe, I Pratini, La Rete.>>

 

Nel 2008 alla galleria Dinamo di Livorno espone i “pesci” di Aquariums la mostra ha per titolo The end of happyness party pictures. Sulla tavola si vede un uso importante e consapevole delle incisioni, dei graffi sui quale stende la foglia d’oro evocando decorazioni dorate su intonaco a punzone. Utilizza il punzone anche sul cartone, sui soldati e le principesse che inserirà sugli specchi infranti dei Lacrimari 2018.

Nel 2009 realizza l’installazione site specific Tzigano tale nella Sacrestia della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo al Parco di Corliano, San Giuliano Terme, Pisa per la manifestazione Effimeri, Svegliati e Stravaganti prima edizione di Metamorfosi dei paesaggi culturali a cura di Giancarlo Sciascia. Non ho trovato nessuna immagine o testo critico. Il comunicato stampa riporta: <<Tzigano tale di Nicola Vukich Sacrestia - Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, Parco di Corliano. Una nuova creazione di un artista totale (cantautore e artista figurativo) che pone al centro della sua poetica l’attenzione al meticciato e al nomadismo, elementi la cui origine si perde nel tempo profondo della storia della nostra specie. Racconto per immagini attraverso lo spazio e il tempo, da Bisanzio fino ai giorni nostri.>>

 

Quattro stagioni, lino e materiali vari, 280x320cm


Collettiva di un’artista: il sito e gli open studio

Per consuetudine una collettiva è una successione di opere differenti di artisti vari. E’ sicuramente un’idea eccentrica quella di una collettiva per un solo artista. Il sito è suddiviso nelle sezioni: Aquariums, Baobab, Crystals, Mirrors, Soccer Players, Street of Town, Tam Tam. Tra le cose da lasciare alla rete sceglie i relitti degli inizi, rivede alcuni progetti, amplia e rimodula il senso di opere precedenti. Baobab esposto nel 2005, ad esempio, pare rappresentare soltanto un resto di qualcosa di più complesso che ripreso nel 2016 nelle “14 stazioni” diverrà l’illustrazione di un libro sull’esperienza africana dal titolo Noir. Frammenta e modifica, non resiste a costruire e decostruire, trasformare frammenti in installazioni e viceversa. Mescola arte antica, spazzatura, tecniche tradizionali, lingue e geografia, indaga il meticciato tra le persone e tra le cose, pratica il nomadismo come essere umano e tra le abilità artistiche. Tutto questo è in parte rappresentato in Collettiva di un’artista.

 

Dal sito:

<<Baobab. Legno, segatura, carta, carbone, carboncino, cenere su pastalegno.

2016 Noir (Libro allegato)

Descrizione in mille e cento caratteri

“Noir” è un libro di viaggio scritto in Africa, “Baobab” sono le illustrazioni: 14 stazioni di transito, declinazioni del legno …pasta legnolegno segatura carbone cenere carboncino carta cartone… l’albero si trasforma, fu carta per scrivere poi cambi di grana, metamorfosi: ora è segatura, prende fuoco facilmente, ora è legno, ora è cenere per la pittura ma non muore mai come i feticci. L’albero è la regia, gli attori, i ballerini in scena al suono del tam tam …cartone pastalegno legno segatura carbone cenere carboncino carta… icone, dall’eterno immoto tropicale incastonate dentro una cornice parlante di legno: “anche io sono quadro anche io sono legno”: non è dentro non è fuori è il rettangolo e soggiace al brulichio della vita che muta, il recinto che non chiude; prima della foresta, lo spazio giaciglio inerente la civiltà che le icone feticcio di “BAOBAB” evocano nel mio studio, dal pioppo, l’oleandro, l’abete o il carbone cinese …carta cartone pastalegno legno segatura carbone cenere carboncino.>>

 


La serie Soccer Players ha come soggetto le divise dei giocatori su carta Kraft, magliette e pantaloncini quali icone mistiche. La trasmutazione avviene tramite il gesto artistico “il lancio della maglietta [zuppa di varechina] sulla superficie” “richiede un notevole sforzo atletico”. L’eroe si trasforma nel suo abbigliamento, la plasticità statuaria del corpo in una radiografia igienizzata. L’alchimia ha il potere di trasformare fango e sudore, liquido igienizzante e carta straccia in oro e bellezza.

 

Cartolina Idealoghi 2005

Dal sito:

<<Soccer Players

Candeggina, mordente, olio di lino, foglia d’oro su carta Kraft, 2017

Descrizione in mille e cento caratteri

Calciatori della nazionale universale dell’Infinito football team in calzoncini d’oro e magliette dalle maniche corte imbrattati di fango o mordente. Chissà se questi si amano come li ama chi li ama.

Oppure busti greco romani, quel che rimane di statue antiche e allora chissà se si trattò di un eroe o di un tribuno malevolo o ancora angeli, angeli scolpiti da Prassitele in forma di eroi della domenica sportiva che vengono in aiuto da un mondo altro in panneggi di candeggina da magliette stampate su carta Kraft.

La sostanza di cui è imbevuta la maglietta stampo scava la carta come lo scalpello i piani successivi di un bassorilievo, operando in maniera opposta: più la carta è esposta all’azione della candeggina più l’effetto chiaroscurale della sostanza acida estrae chiarore, dal marrone al bianco in una successione di piani.

I panneggi sono del tutto casuali, il lancio della maglietta sulla superficie richiede un notevole sforzo atletico, eroico il tentativo di vedere in queste opere uno slancio mistico, come una trasmutazione di un simbolo locale in qualcosa di esasperatamente nobile.>>

 

Cartolina, The end of happyness party pictures, 2008


In Aquariums lo sguardo è protagonista nel gioco grafico tra l’occhio e il pesce, il movimento e la visione, il segno e il suo significato.

 

Baobab, 2005 installazione, dim. ambiente

Dal sito:

<< Aquariums, Olio, foglia d’oro su tavola, 2015

Descrizione in mille e cento caratteri

Riscrivere un mare di sguardi poi finito in un unico segno.

Presupporre cioè che sia occhio e pesce, pesce che nuota e occhio che vede.

Vede e muove il fondo oro dove affondano superfici estratte da contorni di spazio e colore.

Le forme intagliate fermano il tempo.

Sono ripetizioni inscritte con la lama che delinea per raccontare un’idea di totalità finita in cui ciò che è immerso per definizione, fa emergere ciò che delimita.

Vale per lo spazio del pesce come per l’estensione dello sguardo.

Sono questi occhi acquatici che ammiccano l’astratta naturalezza del mondo che li avvolge, quasi architettonico. Finito.

Le geometrie che irretiscono la disposizione di queste forme familiari esondano ora da banali ideali di bolle contenitore, altrove disegnano i perimetri di una bianca fortezza o un uragano di tranquillità. Geometrie di sguardi che srotolano il fondale dello spazio circostante fino a pesce vede occhio come occhio vede pesce.

Talora un elemento solo fuori contesto: fra altri di colore uniforme oro, bianco o blu sceglie una nota incongrua per muoversi come una fuga da un punto di fuga.>>

 



Negli Open studio con il titolo di Tzigano Tale ritornano “Le quattro stagioni” e “Street of Town”. I relitti hanno tutta la scena. Lo scarto come base della società contemporanea opulenta, industriale, metropolitana. Lo scarto come condizione di vita. Lo scarto di cose e persone: chi sta dentro e chi sta fuori, chi ha la fortuna di essere scelto e chi no. La presenza consapevole dello scarto gli consente la progettazione di grandi installazioni e piccole opere dal portamento prezioso. Le monumentali “Le quattro stagioni” simili a pregiati arazzi, teli di lino delle dimensioni di 280 cm x80 cm cada uno, decorati con piccoli rifiuti da marciapiede, involucri di caramelle, batterie scariche, accendini, scarti di ogni forma e materia, orrendi lasciti da cassonetto e niente più, che ad una certa distanza paiono pietre preziose, perle o placche metalliche di un decoro medievale. Lo stesso vale per “Clochard” una tunica ornata di spazzatura che pare un abito decorato di fibbie e ricami. Fanno parte di questo serie di progetti i panni “Streets of Town: oggettini disposti in ordine di rinvenimento” pezze di feltro di dimensioni variabili e oggetti trovati in strada; come dice il titolo, <<disposti in ordine di rinvenimento>>. E’ il racconto plastico visivo di un’umanità opulenta e decadente, di un mondo fatto di scarti e scartati. I relitti divengono reliquie:


<< La raccolta di reliquie deve essere prassi assidua e costante, passare la notte per strada e prendere tutto, tutto quello che buttano i pazzi, caricarsi i loro peccati sulle spalle e compiere il pellegrinaggio fino allo studio. Lavarsi, purificarsi dalla spazzatura: lavare le cose pregando, dare alle cose una luce che non avevano, riesumare la loro natura di cose, ricosificarle ulteriormente. Descrivere con il tratto che disegni loro intorno il perimetro della reliquia (reliquus: ciò che resta) distanziare l’uomo dalla cosa, la cosa dall’uomo. Alcune parlano un linguaggio, o di un linguaggio, altre balbettano intuizioni, ancora diverse gridano o addirittura scherzano: una cosa è l’uomo, una cosa la cosa, una cosa il linguaggio. Sempre più spiritulisticistici i contemporanei evaporano di fronte a piatti raffinati che fotografano, a bambini di tre anni che sappiano dire “glitterati”, esalano nei corsi di yoga, nel coccolare la natura come se fosse un Bambi e non una cosa un po' più grande di loro, spesso tremenda, terrifica quella umana e comunque incognita. La serie “Streets of Town” non è roba educata, ma è di nuovo roba che diventa necessariamente merce: semplicemente. Non esiste reliquia senza reliquiario, il miracolo che chiedo al mio lavoro è di fondere appunto l’una cosa con l’altra.>>

Dal sito:

<<Streets of Town, Mixed media, 2018

Descrizione in mille e cento caratteri

“Streets of Town” non è roba educata, c’è da sporcarsi le mani a raccogliere questo ciarpame, prendere le serie malattie. Fra frammenti di un’esplosione lenta, quasi inavvertibile un rumore di vuoto. Cose si buttano appena antiche appena toccano l’asfalto e accompagnano un cassonetto grigio per una notte.

“Non toccare Piero”.

Non raccattare le cose da terra. Poi, scoprì che c’era più vita in un accendino verde pisello gettato sul marciapiede che nell’uomo che ha dato il tiro all’ultima sigaretta là fuori, c’era più rosso in quel petalo di rosa finta finita dopo un matrimonio già estinto fuori dal comune, un comune normale. Una paletta rosa di un gelato freddo era più calda dell’amore con cui una cosa di nome madre trasforma tre euro in un gelato per un “bambino con gelato”.

Che dire poi se le cose composte come reliquiari misti nello studio prendono polvere, la tolgo la levo la lascio, resta, opacizza talvolta, ma fra tanto splendore… bisogna, abbassare i toni per far luminare tutto ciò che resta.

Se la povertà fosse economica qui bisogna fare economia di povertà, non di mezzi.>>

 



Sono scarti anche gli oggetti da cui ottiene il materiale per realizzare la nuova serie Crystals 2018. Frammenti di vetro di bottiglie, ottenuti battendo minuziosamente per ore in un pestello di marmo, ricoprono all over oggetti diversi: Mare, Montagne, Bivacco, Fuoco Fenicio, Panorama, Passeggiata Tardo-antica, Notti Arabe, Spada, Luna, persino quattro campi da calcio Tempio verde. E’ il racconto di un mondo nomade, magico, anche mitico dal quale emerge un grande gioco identificativo con l’altro, gioco identificativo che passa attraverso i frammenti di vetro blu e verde: i colori del popolo Rom. Ricordano materiali per un mosaico, ma il riferimento alle preziose tessere musive bizantine compare solo come un fantasma senza mai palesarsi veramente, perché forse quel vetro è lo scarto che sulle pareti non ha mai trovato posto.

 

Dal sito:

<<Crystals, Mixed media, 2019

Descrizione in mille e cento caratteri

Dalle sfere umane (invisibili nature) i volumi delle cose estinguono in superfici piane a seguito anche di un miracolo hi tec, di natura mirabolante, accerchiante.

Le bottiglie di vetro da 66 cl o da un litro capienti seguendo un itinerario meno recondito ma altrettanto fantastico, si frantumano in migliaia di frammenti come poliedrici pixel di cristallo per diventare la pelle di oggetti alcuni noti altri meno.

L’operazione è delle più semplici, ha luogo dall’azione del braccio che incontra poi un pestello poi un mortaio in pietra.

Antichissima.

Metri cubi di contenitori ridotti in pochi chili di briciole di vetro (passano da un setaccio dai fori di 3 mm) diventano e lapislazzuli e smeraldi compattati in superfici scintillanti indossate da oggetti di una mitologia anche quotidiana o meno, o più, di fiaba.

La patina scintillante accende ad ogni movimento dello sguardo luci veloci e minuscole come cieli punti di stelle luminose nelle grandi campiture, sorprendenti nelle piccole superfici e restituisce alle forme qualcosa che la modernità ha sottratto all’occhio, al magnifico dei giorni.>>

 

L'abito della sposa, specchio, foglia oro, frammento

Qualcosa si è franto ma è rimasto prezioso e bello. Un delicato prato dorato composto di schegge di specchi: “L’abito della sposa”, opera composta da frammenti di specchio raschiati per dare forma a fiorellini successivamente ricoperti di foglia d’oro. Come non pensare al broccato fiorentino o alle sculture in Estofado de oro?

Con gli specchi ritorna l’elemento scaramantico della corda annodata di “Magia” (1997). L’oggetto specchio è da sempre considerato portatore di potere magico, lo specchio rotto da una parte è portatore di sfortuna (superstizione, magia) dall’altra è moltiplicatore d’immagine. Ogni frammento è differente dall’altro tuttavia come una cellula conserva la proprietà dell’intero, la proprietà riflessiva e magica della realtà.

 


Dal sito:

<<Mirrors, Mixed media, 2020

Descrizione in mille e cento caratteri

Accadde in quel giorno l’elettricista e il telefono con il led acceso e era buio nel retro dello studio non notte. Di là l’angolo delle cose strane, per lui doveva compiersi un errore per capire dov’era, e io cosa fossero i miei quadri.

Prima mi chiede cos’è ‘sta roba di vetro. Sono specchi… il retro intarsiato. Sì lavorarli non è facile è un lavoro artigianale, preciso e monotono.

Cominci a scavare con lo scalpello nel disegno fatto a matita gratti via la vernice azzurra, poi l’ossido di piombo rosso, poi il nitrato d’argento specchiante con l’acetone.

Girai lo specchio, il prototipo degli elettricisti sguainò la sua spada di internet e raggi bianchi per vedere la forma di luce proiettarsi riflessa fuori dal quadro: a ghiere, linee spezzate, ghimberghe, pinnacoli, schizzarono sulle pareti circostanti del retro piccolo dello studio buio là dove è il contatore.

Angeli del cielo! La parete bianca e nera sembrava tappezzata di pelle di zebra, alcune figure di umani si umanizzarono uscendo dallo spazio di specchio vetro specchio vetro specchio e scrivevano sul muro grazie, siamo gli evasi.>>

 

Mirrors, Open studio 2019


Lo specchio come verità e come inganno. Lo specchio simbolo dei simboli nel quale vedere e vedersi. Scrive nel flyer dell’Open studio 2019:

<<Lo specchio viene alleggerito della sua materia riflettente dal retro della lastra (vernice, antiossidante, nitrato d’argento) e inscritto con scalpelli di diverse dimensioni, in un ordito ritmico, di linee spezzate, in un alternarsi di pieni e di vuoti, di specchio e vetro. Emergono forme leggibili, vive di un’autentica passione decorativa, soggetti dalla doppia natura, trasparenti e riflettenti: stelle, pianeti, figure umane e altri pretesti. Lo spettatore può osservarsi in queste forme intermittenti, può scegliere altresì di esplorare l’ambiente circostante da uno degli interstizi specchianti del quadro, altrimenti vedere sull’intonaco del muro, dietro il rettangolo della cornice, le ombre proiettate dall’incidenza della luce sullo specchio. L’opera nel suo insieme contempla una pluralità di sguardi, quando l’opera, lo sappiamo bene, è nello spettatore che la guarda.>>

 

La fiaba, il gioco, la musica e la storia. Allora, soldati, donzelle, cavalli, principi e principesse, torri e castelli entrano nei frammenti di specchio infranto dei “Lacrimari” o nel “L’abito della sposa”, nelleProspettive”.

 

<<Eccomi in questo frangente, in quei tempi aurei e commossi, direi balcanici, nelle vesti di un mio avo, o, in questo presente, di un mio antenato “investito” di contemporaneo.>>

 

Stelle, specchio, 100x150cm

Gli specchi sono disegnati secondo schemi precisi. Nicola disegna moltissimo. Ha disegnato per metri e metri Tam Tam, fasce di tela grezza, incollata e cucita per dare forma di volta in volta ad arazzi narrativi di differenti dimensioni secondo uno schema da pentagramma musicale. Musica e colore. Personaggi fiabeschi per un racconto gioioso, dinamico e musicale. Ancora richiami al medioevo, ho immaginato La tappezzeria della contessa Matilde o Ricamo di Bayeux opera anglosassone anteriore il 1080, costituito dalla giustapposizione di nove pezze di lino ricamato con fili di lana, della lunghezza di circa 70 metri. Raffigura la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il Conquistatore.

 

Tam Tam n°1, cotone, grafite, pastelli, 130x115cm

Dal sito:

<< Tam Tam, Matita e olio su tela, 2021

Descrizione in mille e cento caratteri

Il segno si scrive a lapis velocissimo per metri e metri su fasce di stoffa lunghe una stanza, alte una spanna. Poi è una metrica ritmata da colore che non è quasi mai luce, riempie figure sorte da ritmo canta le solite note animate da immagini risorte da un profondo fiabesco che non sai.

Spazi pausa, anche, tela muta.

Grafia e colore si fondono in una fiaba.

Dopo un tempo svolto a trovare figure e colorarle, scatta di nuovo la mano veloce, altro segno altro ritmo altra voce, alcune immagini ricorrono uguali, come timbri, anche se la base è uno scarabocchio, tornano, di diverso colore sempre dello stesso tono primario.

Cavallo è vicino a principessa.

Altra striscia, passo settimane a scavare figurine e riempire tarsie di colore.

Ora cavallo è vicino a tre piccoli gnomi.

Alla fine scopri malgrado la mano sia sempre più sicura nel danzare il lapis, che il campionario dei segni è ridotto, ancora un cavallo, uno era verde, uno bianco, ora rosso.

Cavallo rosso è vicino a pulcino giallo. Poi, tagliare questi rotoli, incollare questi tempi diversi, farli quadrare per il piacere dei bambini.>>

 

ARC

 

Ringrazio Fiorella Clemen, la madre di Nicola, l'amico Paolo Santoboni per aver condiviso con me racconti, ricordi e foto. Sandro Bottari per aver condiviso alcuni cataloghi. Mattias Reyes, Web Designer del sito, per la disponibilità. Federico Cavallini, Delio Gennai, Fabio Leonardi, Irene Strati per avermi dato conferma di alcune esposizioni.

 

Sitografia:

https://www.nicolavukich.it/

https://www.produzionidalbasso.com/project/the-end-of-happiness-party/

 

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Baroque III (Vanitas) 


Cataloghi:


IV Biennale dei Giovani, Radici/Contaminazioni a cura di Silvia Bottinelli e Sergio Risaliti, Pisa, 2005


Province d’arte:” Livorno” a cura di Cristina Olivieri, Giovanna Carli, Raffaela Maria Sarteriale, Firenze, 2004


Un giorno, collettiva, a cura Emma Gravagnuolo e Paola Magni, Itinera s.r.l., Livorno, 2002


Networking Giovani artisti in Toscana, a cura di Bruno Corà, Sergio Risaliti, Pier Luigi Tazzi, Edizioni Polistampa, Firenze, 2002


25+8 caratteri: arte visiva e musica a Livorno 1985/2000, a cura di Emma Gravagnuolo, coop Itinera, Livorno, 2001


I Biennale dei giovani Artisti, a cura di Ilaria Mariotti e Nicola Micieli, Pisa, 1998


Macchie in volo, Effetto Venezia, a cura di Irene Amadei e Mattia Patti, Livorno, 1997



[1] Sicuramente non ho presente l'intera situazione artistica Livornese, questo è ciò che ho appreso nei miei dieci anni in città. A Livorno non esistono luoghi di alta formazione artistica. Una sezione artistica al Liceo è quanto. Corsi privati di pittura, fotografia, grafica. La vicenda del museo d'arte contemporanea si riassume così: nel 1989 è definitivamente naufragato il progetto Museo Progressivo d’Arte Contemporanea realizzato nel 1974 da Vittorio Fagone, Lara Vinca Masini e Aldo Passani. Solo dal 2018, in seguito ad un progetto di riqualificazione i Bottini dell’olio è rinato come polo culturale: Museo e Biblioteca Pubblica. Raccoglie la collezione come nucleo centrale per l’Arte Contemporanea. 
Attività individuali, studi d'artista, gallerie antiquarie, mostre in spazi commerciali, lo storico Premio Rotonda dal 1953, mostre organizzate dall'amministrazione comunale rappresentano la consuetudine. Gruppi di ricerca militante come Portofranco (1984-1994) sono stati  un'alternativa vivacizzante. La galleria di Roberto Peccolo riferimento prezioso per il contemporaneo, ha cessato le attività al pubblico nel 2019. Nel 2017 inizia la sua attività Gian Marco Casini Gallery, giovane, intenzionato a proseguire una seria ricerca nel Contemporaneo. Inizia con una serie di esposizioni di Poesia Visiva, Lettrismo, Fluxus in collaborazione con Caterina Gualco. Nel 2011 nasce il Combat Prize, collegato a gallerie e fiere, poco significativo per un dibattito sul territorio livornese, più aperto all' esterno. Villa Trossi-Uberti si limita a corsi d’arte e conferenze, mostre didattiche e poco altro. Da quest'anno si occupa del Premio Rotonda.
Associazioni culturali hanno vitalizzato spazi e proposto idee: cinema Kino- Dessé, Egg, Buzz Kill, Uovo alla Pop. Purtroppo di volta in volta estinte. Restano Carico Massimo  (Post Su questo blog) nata nel 2012, orientata Arte Partecipata e Pubblica, residenze d'artista; MuraLi che si occupa con scelte molto interessanti di Arte Murale e Rigenerazione Urbana. Attivo nel design, nella progettazione e nell'arte grafica lo studio di architettura 70m²Negli ultimi anni sono nati nuovi spazi: Studio Elisi, Tegame Gallery, Flusso 124  assieme ad  arcipelaghi intermittenti e a volte invisibili.