lunedì 22 settembre 2014

Conversazione con Dario Costa, artista. Wilson Project Space, Sassari.

Wilson Project Space
Una  conversazione con Dario Costa responsabile dello spazio espositivo Wilson Project. 
Il primo progetto Wilson Project è cresciuto all'interno di una ex officina, dove sono state allestite le prime mostre.
Il nuovo spazio si trova, ora,  la centro storico di Sassari. E' stato inaugurato questa estate con la mostra di un giovane artista, Martina Bassi e prosegue in autunno con Igino Panzino. 
Questo linea irregolare definisce il modo di pensare all'arte di Dario Costa, interessato sia alle nuove proposte, che ad artisti storicizzati del nostro panorama nazionale. 

A.R.C. Parlami di questo spazio. Cos’è Wilson Project?

Martina Bassi,
òPPERSPEC, 2014
D.C. E’ uno spazio no profit che ho aperto due anni fa. Invito artisti a presentare dei progetti.
Ho affidato le curatele a Micaela Deiana, una giovane curatrice. Con lei abbiamo iniziato a lavorare con giovani artisti del territorio. In seguito ho intrapreso collaborazioni con altre gallerie, altri spazi e fondazioni portando artisti che non lavorano in Sardegna. 
Mi interessava creare un confronto, creare delle opportunità di relazione.
Abbiamo inaugurato il nuovo spazio, qui al centro storico, con la personale di Martina Bassi òPPERSPEC, a cura di Giovanna Mazzotti.

A.R.C. Ho conosciuto Wilson Projet nel vecchio spazio, non in periferia, ma un luogo meno centrale. Era un garage o sbaglio?
D.C. L’ex officina di un’elettrauto. Mi piaceva l’idea di uno spazio vissuto. Ho lasciato il pavimento così com’era, una vecchia graniglia degli anni Cinquanta corroso dalle batterie usate per anni dal meccanico.
Mi piaceva l’idea di un’officina in cui si montano e rismontano le cose. Era un’officina di progetto in cui gli artisti potessero lavorare.
Abbiamo fatto diverse cose. Io non seguo un vero e proprio programma, non mi piace seguire un filone artistico. Mi piace molto il contatto con l’artista, sapere quanto si voglia mettere in gioco e condividere il suo lavoro con ciò che faccio.
Questo è per la Sardegna un periodo interessante, forse perché rispetto a certi linguaggi è più vergine.

A.R.C. Forse perchè è un isola. E’ un concetto che torna spesso nei discorsi degli artisti sardi, ogni passaggio di generazioni. Dell'isolamento bisogna tenere conto, non necessariamente in senso negativo. Quello che potrebbe apparire uno svantaggio, diventa un’opportunità, se saputa cogliere.
D.C. Sì. Da poco ho visto un documentario su un’isola. Mi ha colpito una frase relativa ad alcune specie di animali che lì prosperavano. In un’isola ci sono meno predatori, questo ti protegge ma di contro ti fa abbassare la guardia. Ritornando all’arte, abbassare la guardia significa non essere aggiornati, oggi possiamo conoscere attraverso il web.
Penso che sia necessario fare esperienze fuori dal proprio orticello. Mi sono sempre mosso, ho viaggiato, ho cercato il confronto. Però, penso che in un’isola ci possa essere più libertà.

A.R.C. Quanto conta internet nel tuo lavoro. Nel conoscere giovani artisti, nel far conoscere il tuo progetto?
D.C. Un tempo quello che oggi è rappresentato da internet, era rappresentato dalle grandi fiere.
Di solito erano appuntamenti immancabili. Incontro tra galleristi, artisti, collezionisti.
Oggi non c’è galleria che non abbia un sito. Gli artisti che non hanno un loro sito, hanno un blog o condividono le immagini dei loro lavori sui social.
Le Biennali erano delle occasioni d’incontro di grandi collezionisti, era un occasione per vedere gli artisti. Prima di internet la scoperta di nuovi artisti avveniva esclusivamente mediante questi passaggi. Oggi, con internet questo tipo di rapporti non è più esclusivo.
Rimanendo nel contesto nel quale lavoro, cioè la Sardegna, per i giovani artisti, per gli studenti dell’accademia, ma anche per me è un’ opportunità. I mezzi di trasporto sono sempre quelli che sono, siamo pur sempre un’isola.


Daria Irincheeva,
 "Almost aqua" 2013
A.R.C. I vantaggi e gli svantaggi però si equivalgono. Sul web fai difficoltà a distinguere la qualità dalla fuffa. Molto spesso, un’alta qualità tecnologica non corrisponde a qualità di contenuti.
D.C. Sì, spesso vengono costruite mostre in funzione di ciò che rende meglio nell’installazione o in una pubblicazione.

 
 
 



 
A.R.C. Penso che funzionasse così anche per certe riviste patinate. Si pubblica l’opera che funziona meglio in foto. Diciamo che in questi casi c’è un filtro, sul web la democrazia orizzontale digitale può disorientare.
D.C. E’ comunque un’opportunità per tenerti aggiornato, conoscere.

A.R.C. Condivido.
Maria Lai,
Carica di futuro, 2013
Qui in Sardegna abbiamo avuto un momento molto intenso nell’arte contemporanea. Molti artisti hanno collaborato con gallerie e avuto notorietà fuori dalla Sardegna. I giovani di allora avevano alle spalle l’esperienza di artisti, più anziani, che hanno lavorato in un territorio più acerbo, eppure hanno tracciato il cammino. Wilson ha dedicato una mostra a Maria Lai, ad esempio. Da artista e ideatore di uno spazio espositivo, come ti poni rispetto a questo tipo di sedimentazione?
 
D.C. Certe esperienze sono sicuramente legate al mercato. Io sono molto curioso, mi interessa conoscere esperienze che non ho potuto vivere di persona, perchè ero troppo piccolo.
In Sardegna avevamo la Galleria Duchamp che negli anni Settanta e Ottanta è stata un luogo di progettazione e riferimento per diverse generazioni di artisti.
Oggi si parla molto di Maria Lai, che naturalmente è forse la più nota, ma ci sono molti artisti sardi che hanno lavorato alla Galleria Duchamp in quel periodo: Aldo Contini, Igino Panzino, Ermanno Leinardi, Tonino Casula. Sono molto interessato a quest’esperienza. Sì, nell'altro spazio rendemmo omaggio a Maria Lai con la mostra Carica di futuro, erano alcune opere di collezioni private.

A.R.C. E’ particolare che pur occupandoti di uno spazio proiettato nel futuro, uno spazio nuovo, che lavora con i giovani, sei interessato a creare dei ponti, con artisti del passato e realtà espositive che hanno lasciato una traccia importante nell’arte contemporanea della Sardegna.
 

Ever Growing, 2012
La Galleria Duchamp è legata ad un’epoca ben precisa, anche con i limiti di quell’epoca. Come nasce questo interesse? 
D.C. Forse abbiamo più limiti adesso. Occuparsi di determinati artisti dovrebbe essere un dovere delle istituzioni.
L’interesse per la Galleria Duchamp nasce da una curiosità che si è sviluppata leggendo articoli, recensioni. Ho visto che sono state fatte personali di Fontana, Rotella ho letto nomi come Barruchello, Dorazio, Melotti, Nivola. In Sardegna mancano gallerie di riferimento che facciano questo tipo di lavoro.
Ho dei progetti futuri in questo senso. La prossima mostra sarà Antologica breve di Igino Panzino. Il mio progetto come vedi va in questa direzione.
Quando abbiamo aperto il Wilson Project ci eravamo detti che avremmo voluto uno spazio aperto alla sperimentazione, al dialogo con il territorio, indipendente non solo nel senso istituzionale ma anche rispetto a un sistema dell’arte troppo svelto e superficiale nel decidere il cool e l’uncool.
Uno spazio dedicato al contemporaneo, un presente che include passato e futuro.

A.R.C

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