martedì 23 settembre 2014

Taccuino di San Pietroburgo condiviso con Igor Kopilov. Terza puntata.

Manifesta 10. Effetti collaterali.
Cupole, notti bianche e parassiti.

Sembra giorno e sono le 22.00 a San Pietroburgo. É Luglio, ci sono ancora le notti bianche.
Al Museo dei giocattoli meccanici sovietici, i giocattoli esposti si possono utilizzare. Alcuni ragazzi giocano con un biliardino protetto da una cupola di plastica, -probabilmente perché nessuno rubi la pallina o la faccia saltare fuori dal campo-, altri giocano con i videogame. L’ingresso è gratuito. Al bar, un frammento di nostalgia, il caffè viene servito in piccole tazzine in ferrosmalto. All’esterno suona un gruppo di musicisti, forse kazaki.
Dal cortile è visibile una delle cupole dorate della Cattedrale della resurrezione di Cristo, nello stile che si ispira all’ architettura russa medievale. Particolare rilevante in una città di impianto neoclassico e occidentale. Fu eretta da Alessandro III, sul luogo dove venne ucciso, in un’attentato lo Zar Alessandro II. Da qui il nome per cui è da tutti conosciuta chiesa del Salvatore sul Sangue Versato (1883-1907). 

Igor mi fa conoscere l’interessante mostra del collettivo Parazit, al Borey Art Center www.borey.ru, un evento collaterale a Manifesta, il cui tema è l’invidia nera.
Storicamente la Galleria Parazit non ha mai avuto una sua sede legale, i sui componenti operano sui corpi di varie istituzioni culturali, i luoghi e gli spazi non destinati ad attività espositive. Il nome Parazit è stato ideato da Vladimir Kozin e Vladim Fliaghin del gruppo “Tupie Gruppo Novie”.
Parazit è parte di un progetto più ampio chiamato “Arte delle masse”.
Il tema Invidia Nera, è  il tentativo di considerare il difficile rapporto tra la scena locale e scene internazionali.
I Parazit partono dal presupposto che la motivazione alla creatività nel mondo contemporaneo è il successo. I molti artisti locali lasciati fuori dal grande evento, manifestano le loro ambizioni, sognano ad occhi aperti, desiderano di più. Un artista non realizzato vuole essere un membro di Manifesta 10.
In molti artisti la mancanza di successo sviluppa invidia, questa provoca l’immagine opprimente di una vetta irraggiungibile; per altri la sollecitudine verso il successo altrui diventa una forza.

Desiderando possedere i beni effimeri degli artisti di successo, i Parazit convincono se stessi ad occuparsi di creatività, mettono in atto la finzione dell’ artista-non-realizzato e trasformano questa energia, fino ad arrivare ad un bivio, di fronte al quale operare una scelta. Che strada percorrere? Un cartello dice “Vai a sinistra” e forse perdi la gloria, l’altro “vai a destra”, potresti perdere anche la testa.
In tutto il suo talento orientato alla soppravivanza l 'homo sovieticus affiora nel grottesco del presente: nessuna Associazione degli artisti sovietici a cui aspirare, bensì poter accedere alle grandi Biennali mondiali.
Vladimir Kozin è uno degli artisti conosciuti anche in Italia. Qui espone "La mia patria ambulante”.
Qualche anno fa, Kozin ha esposto in Italia al PAC di Milano, nella collettiva Materia prima. Russkoe Bednoe “l’arte povera” in Russia. Proponeva opere parodistiche e dissacratorie realizzate con copertoni di auto. Al famoso “For the love of God” il teschio realizzato con 8.601 diamanti di Damien Hirst opponeva il suo realizzato con vecchi pneumatici.
"La mia patria ambulante" è un viaggio vero e proprio dentro l’animo di un artista russo del XXI secolo.
Kozin rappresenta plasticamente questo peso. “Ogni volta attraversando la frontiera della mia Patria, provo un senso di invidia e disperazione dal momento che ho avuto un contatto con un altro mondo. In quest’altro mondo non ci sono le cose che io trascino con pesantezza nella mia coscienza come se fossi un “bardotto” di Repin. Questo carico è l’eredità del passato sovietico di cui mi viene tanta voglia di liberarmi ma che non riesco ad abbandonare”.
Il'ja Efimovič Repin, Trasportatori di chiatta sul Volga, 1870–73,
Ma tutte queste problematiche sono artificiali già in partenza, perché sottintendono il lavoro per un pubblico, già di per sé estraneo alla creatività. La posizione parassitaria del gruppo, rispetto alla società contemporanea, ne rispecchia un'altra ben più drammatica. Parassiti erano definiti, nella società sovietica, gli artisti che non producevano niente per la società. 
Nel 1964 il poeta Josif Brodskij subisce un processo il cui capo d’imputazione è “parassitismo sociale”. Per giudice e procuratore generale i fatti erano chiari e, prova di colpevolezza. Dal 1956, Brodskij, aveva cambiato impiego tredici volte. Lavorato un anno in una fabbrica, poi smesso di lavorare per sei mesi. L’estate successiva aveva partecipato a una spedizione geologica, per poi restate quattro mesi senza lavorare. Il parassitismo sarebbe, dunque, di evidenza clamorosa. 
Che tipo di lavoro può essere quello di poeta? Altri tempi, altre storie. Forse.
A.R.C.
I.K.

Indice delle puntate:
Continua...

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