mercoledì 22 ottobre 2014

MONUMENTI DI SARDEGNA – Maria Lai, rammendi di una comunità.

Qualche anno fa Giulia Sale, un’artista che stimo, che è anche un’amica, realizzò un progetto artistico, che mi piacque molto, dal titolo apparentemente innocuo, in realtà altamente corrosivo "Monumenti di Sardegna".
Sembrerebbe il titolo di un opera editoriale. Il capitolo dell’ enciclopedia sulla Sardegna, alla voce ARTE – SARDEGNA-XXI secolo. Così non è.
Fotografò alcuni artisti sardi, dalla interessante carriera artistica, perennemente in bilico tra riconoscimento pubblico e affermazione professionale, rappresentati come dei veri e propri monumenti inseriti nel paesaggio sardo, al pari di una chiesa romanica o un nuraghe. 
Le foto occupavano le pareti degli uffici del Palazzo della Pubblica Istruzione della Regione Sardegna. Lascio a voi l’esegesi del significato di tutela, valorizzazione e promozione applicata agli uni e agli altri, oggi, epoca di eventi culturali.
Rubo questo titolo perchè è ancora tempo di rammendi
In giro ci sono ancora artisti e poeti con macchina da cucire al seguito, perchè l’arte e gli artisti, i monumenti e i reperti non rappresentano solo immagini da poster, sono una risorsa. L’occasione per questo innesto mi è data da un viaggio con Le Gioconde a Ulassai nel Museo partecipato e la stazione dell’Arte di Maria Lai.

La stazione dell'arte di Ulassai
Ulassai, Ogliastra interna. Qui trovo il nodo centrale dell’opera di Maria Lai.
Incontri straordinari di tappa in tappa, seguendo l’itinerario del Museo partecipato e la Stazione dell’arte.
Allieva di Arturo Martini. Artista longeva e prolifica, scomparsa di recente. Una biografia densa di avvenimenti. Il primo contatto con la scultura avviene però in modo surreale, attraverso Francesco Ciusa. L’aneddoto dice che, alla morte della sorellina non c’erano foto che la rappresentassero per il sepolcro, così Maria ancora bambina fu portata a Nuoro dallo scultore Francesco Ciusa, -il primo artista sardo ad avere un riconoscimento internazionale con la "Madre dell’ucciso" del 1907- perchè posasse per il ritratto funebre di sua sorella. Quel ritratto di Francesco Ciusa è contemporaneamente di Maria e di Cornelietta. Maria è sepolta a Ulassai nella tomba della sorellina minore, da sempre considerata anche la sua tomba.

La stazione dell'arte di Ulassai
"Fiabe intrecciate,
 omaggio a Gramsci"
 2007
Maria Lai come Costantino Nivola, ha fatto il suo percorso artistico sostanzialmente altrove, anche se come diceva lei, il paese le ha suggerito i paesaggi, le radici.
Quando torna a Ulassai, nel 1979, invitata dall’amministrazione per la progettazione di un monumento ai caduti, è molto contenta di poter interagire con il tessuto sociale. Rifiuta di realizzare il monumento proposto, che a lei sostanzialmente non interessa. Propone Legarsi alla montagna (1981). Un progetto molto più complesso del monumento ai caduti. Un’opera che coinvolgerà nei due anni successivi tutto il paese. Due anni di incontri e scontri, per poter mettere d’accordo le persone, superare inimicizie.
 "Il gioco del volo dell'oca", 2002,
C’era chi contestava il progetto definendolo clericale, perchè il nastro utilizzato faceva riferimento al nastro delle feste religiose, dall’altra chi sosteneva che non fosse un’opera d’arte ma un omaggio alla Madonna, e in quanto tale azione devozionale. Ognuno cercava di tirare dalla proprio parte ideologica l’operazione artistica. 

Nella prima fase del progetto l’aspetto immateriale dell’opera stuzzicò l’animo suscettibile di chi non sapeva riconoscere come arte quell’operazione e pretendeva un monumento marmoreo e la certezze di una tradizione istituzionale.
 "Il gioco del volo dell'oca", 2002
Scegliendo la comunità e non le pietre Maria Lai ha innescato un meccanismo che non si è più fermato.
Il confronto, la collaborazione ha condotto la comunità verso il Museo partecipato e la stazione dell’Arte di Ulassai.
Il costo per la realizzazione del monumento ai caduti era stabilito in 60.000 milioni di lire. Dato che il monumento non venne realizzato nella sua forma scultorea, su proposta dell’artista, la cifra venne usata per restaurare il lavatoio comunale. Altro progetto di interazione, altro rammendo architettonico e del tessuto sociale.

Lavatoio Comunale
Maria Lai  "Telaio Soffitto", 1982.
"Fontana" Costantino Nivola,  1987
Per il progetto del lavatoio collaborò con la gente del paese e l’anno successivo con Costantino Nivola, poi con Guido Strazza e Luigi Veronesi. Il lavatoio diventa così una monumento vero e proprio, non ai caduti, ma alla gente del paese e sopratutto alle donne. Un luogo vivo e riconosciuto da tutti come patrimonio.
Da quel momento, Maria Lai viene coinvolta in progetti di recupero architettonico del paese.

Ulassai nel giro di vent’anni aveva perso tutti i siti d’interesse identitario e culturale: la stazione era un’ovile, le chiese magazzini dei muratori, la chiesa di Santa Barbara ai pastori e il lavatoio come abbiamo detto abbandonato.
Gli anni Ottanta sono anni di crisi profonda, abbandono delle tradizioni. La collaborazione con le tessitrici permette il riavvio di una parte importante del tessuto produttivo artigianale, che stava sfiorendo. Bisognava reinterpretare i decori, le iconografie al pari di ciò che avvenne negli anni Cinquanta e Sessanta.
Lavatoio Comunale
Maria Lai  "Telaio Soffitto", 1982.
Costantino Nivola, "Fontana",  1987
Propone dei nuovi disegni e la Cooperativa delle tessitrici lavora su nuove interpretazioni della tradizione. Contribuisce con un atto concreto alla costruzione della Biblioteca Comunale.
In ultimo nasce la Stazione dell’Arte. Dona 180 opere come base per una collezione e un percorso.

Parlare di Maria Lai a Ulassai non significa solo una esposizione di opere. Ciò che vediamo ora è il frutto di un lavoro lungo e tormentato di incontri e scontri tra l’artista e il paese. E’ il frutto di un progetto di “rammendo” del tessuto sociale, dei luoghi d’interesse culturale e indentitario, di uno sguardo al futuro attraverso l’individuazione dei luoghi della comunità, dell’arte, della cultura. 
Penso che oggi i tempi non siano meno bisognosi di interventi concreti.


Articolo correlato:
Antonella Spanu

A.R.C.


lunedì 20 ottobre 2014

Conversazione con Martina Bassi/ artista.

Incontro Martina Bassi in chiusura della sua mostra òPPERSPEC, alla galleria Wilson Project Spacea Sassari. 
Martina Bassi si interroga sulla natura del guardare attraverso la ridefinizione visiva della materia e del paesaggio. Le opere nascono dall’ incontro tra pratica digitale e intervento manuale.  In una continua osservazione dal particolare al generale, dal consueto all’inconsueto ridefinisce l’orizzonte percettivo su cui agire: lo studio del fenomeno nella sua doppia origine naturale e artificiale. 
La simulazione della materia e illusione della percezione rappresentano l’apertura verso una nuova dimensione spaziale che si manifesta nella commistione di due visioni in contemporanea: micro e macro, vedute paesaggistiche e focalizzazione sul pattern, dettaglio e percezione del totale, dando luogo a inganni ottici e della mente.

Martina Bassi, òPPERSPEC,
Exhibition view,
Wilson Project, 2014
A.R.C. Come è avvenuto l’incontro con Dario Costa?
Come nasce il progetto òPPERSPEC, nello spazio Wilson Project?
M.B. Dario ha visto un mio lavoro, nella mia prima personale “Le Pass” alla galleria Room di Milano, nell’ottobre dell’anno scorso. Gli è piaciuto e mi ha contattata, semplicemente.

A.R.C. Quali sono i tuoi temi?
Su cosa focalizzi la tua ricerca?
M.B. Il mio tema è il massimo tema della rappresentazione visiva ovvero l’illusione.
Martina bassi, Collina, 2014,
pennarello, alluminio anodizzato, mogano,
184 x 33-56 x 7 cm
Ho avuto una predisposizione all’arte. Ad un certo punto ho sentito la necessità di ripartire da zero. Sentivo questa necessità per ciò che riguarda l’immagine. Quindi così ho fatto. Sono ripartita da zero, non solo a livello tematico ma anche del soggetto.
In questa mostra c’è come un percorso, quasi un’evoluzione. E’ un percorso che si sviluppa a partire da una riproduzione del soggetto, prima digitale e poi manuale; a partire da una materia prima, per poi passare ad una piccola porzione di spazio, per poi andare ai paesaggi e al rapporto relazionale.
Il minimo comune denominatore tra questi tre lavori è l’illusione prospettica e materica.
Nuvole, case, alberi, 2014,
pennarello, alluminio anodizzato, mogano,
 115 x 31 x 7 cm (dettaglio)
Sono lavori che anche se appaiono come delle stampe, sono in realtà fatti a mano. Faccio in modo che la matita pastello che io utilizzo, vada a perdersi nella sua identità, si mischi completamente con il supporto che mi fa da base. Così che la stampa diventi pastello e il pastello diventi stampa.

A.R.C. Giochi su l’ambiguità di visione.
M.B. Esattamente. L’ambiguità di ciò che è la percezione stessa.
Ad ogni lavoro ho dato due prospettive. La costruzione prospettica del perimetro del lavoro che va in una certa direzione, quando invece all’interno l’immagine va in una direzione opposta. Così si crea l’incontro tra due prospettive, appunto.

Martina Bassi, Mosaico, 2014,
matita pastello,
carta fotografica, alluminio,
 vetro, 100 x 99 x 3-20 cm
A.R.C. Quella che potrebbe essere reale e quella costruita.
M.B. Esatto. Qui il reale e il costruito vengono di nuovo a dialogare. Quale si può dire reale e quale il costruito, se entrambi sono costruiti, se entrambi paiono reali, entrambi sono fusi l’uno nell’altro.
Ad esempio questo è un frammento del pavimento della Stazione Centrale di Milano. Un pavimento realmente esistente che ho fotografato e ricreato totalmente, prima digitalmente, poi a mano. 

A.R.C. Non sei interessata a che sia riconosciuto il luogo di origine, il frammento vale per se stesso.
M.B. Esattamente, non mi interessa. Anche perchè l’identità si ha nel momento in cui si mostra. Tutto ciò che viene prima sicuramente influisce nella realizzazione di quella forma, ma poi è l’occhio che lo vede che gli deve dare un’identità.

Martina Bassi, òPPERSPEC, 
Exhibition view, 
Wilson Project, 2014,
A.R.C. Ritornare all’essenziale, mi hai detto, è un’esigenza. Perchè questa esigenza?
M.B. In realtà non c’è un prima. Il prima è l’allenamento della mano, della sensibilità e del modo di gestire la quotidianità. Che è l’ascolto delle cose e l’attenzione. Tutto il lavoro prima sta nell’osservazione delle forme.

A.R.C. Alcuni lavori hanno come origine l'osservazione di un frammento minerale, del particolare di un pavimento, poi ci sono i paesaggi. Come rappresenti l’illusione percettiva riguardo al discorso relazionale? Qui vedo dei ritratti. Raccontami.
M.B. Sono degli autoritratti che io faccio con altre persone.
Qui l’illusione prospettica che fa da tema per tutta la mostra trova in quest’opera una dimensione relazionale. Nel senso che, semplicemente, faccio una foto alla persona che mi sta guardando, mi faccio una foto mentre la guardo, disegno i due volti, li ricalco, li sovrappongo, segno i punti di intersezione delle linee e ricavo un terzo volto. E’ la formalizzazione di un’incontro di sguardi.

Martina bassi, Minerale,
 2014,
matita pastello,
carta fotografica,
 alluminio, legno,
183 x 45-27 x 2,5 cm
A.R.C. Parliamo della scelta dei materiali. Carta, allumino per i paesaggi. Questi ritratti sono realizzati su un’altro supporto. Perchè?
M.B. Il supporto si distingue dagli altri, è vero. Volevo che rientrasse in una dimensione relazionale, quindi ho scelto un supporto caldo. E’ pelle. Pelle di camoscio, su cui sono intervenuta con l’Uniposca.
E’ la realizzazione di un luogo di mezzo, che in realtà ovviamente non esiste, come se in questo momento realizzassi il volto che sta in mezzo a noi due. Ho riportato in vita, in qualche modo, l’incontro.

Autoritratto con Alberto, 2014, pennarello,
pelle di camoscio,
 35 x 30,5 cm (dettaglio)
A.R.C. ...una vita che non avrebbe realtà senza l’incontro, la relazione... Qual’è il titolo?
M.B. “Autoritratto con Alberto”.

A.R.C. Molto semplice, essenziale.
M.B. Del resto i paesaggi si chiamano “Collina”, “Nuvole, case, alberi”.
E’ l’esigenza di tornare a guardare le cose come sono, nella loro semplicità che cela mondi. Dopo tanta sovrastrutture, ti accorgi che guardi una cosa e in realtà non l’avevi mai vista, perchè appariva sempre in forme che non sono le sue. Non mi interessa la semplicità come banalità, ma la complessità nella sua fase iniziale. Mi interessa il momento in cui avviene la prima costruzione.
L’originalità in questo senso.


sabato 11 ottobre 2014

CONTEMPORANEAMENTE


Volevo partecipare ad un rito collettivo. Un appuntamento riconosciuto come evento condiviso.
Una data canonica come il natale, la festa della mamma, ferragosto.
I riti collettivi hanno bisogno di gruppo sociale che vi partecipi e una giornata dedicata. Trovarci tutti assieme nello stesso luogo, nello stesso tempo.
E’ consuetudine ritualizzare una giornata importante, come andare al mare il 15 agosto. 
Ho chiesto ad alcuni artisti di scrivere qualcosa sul contemporaneo e inviare l’immagine di un'opera. Condividerò con loro questa giornata, qui sul blog de La Gioconda Errante.
Afferrare il senso del presente mentre lo si vive è frutto di una operazione complessa, collettiva e non casuale. Come dice il Dottor Who "Il tempo va guardato con la coda dell'occhio, e fuori dalla cornice".
Come è evidente, non ci sarà il consueto rito del buffet. Naturalmente, se i visitatori del post volessero bere una birra e mangiare patatine, la cosa non verrà considerata sconveniente.
Io andrò a vedere una mostra.
Questa è la nostra  Giornata del Contemporaneo.



Giusy Calia, Alchimie dell'immagine, 2014, foto digitale, dim. estensibile

Due eventi -due tempi che si sovrappongono-due istanti in cui passato e presente si incrociano. Molti di questi momenti ripetono la sequenza affettiva del sentire. -Diventano luoghi di riflessione– spazio occupato da chi c’era in precedenza e poi è andato via. Hanno usurpato una superficie bianca con altre tracce– la distanza  minima tra presenza e assenza-.
Rinnovare continuamente la superficie delle modalità espressive. 
La dimensione del tempo non coincide con la vibrazione del presente – è un attimo fa che è ormai passato. Interrogazione errante la mia– riflessione speculare sulla parola e sul suo più intimo significato. Non ri-trovo i tratti della mia visione- non mi conformo con la parola scritta- non mi corrisponde la sillabazione. Sono non contemporanea a me – non mi riconosco nello spazio della rivelazione –forse l’immagine può parlare– la parola contemporanea(mente)- almeno per me- (di questo qui e ora) deve Tacere. (Giusy Calia)



Roberto Cascone
Roberto Cascone, Amore perduto, 1991, cristallo fumeè, assorbenti igienici, silicone
Riflettendo sul mio percorso artistico fallimentare, recentemente ho maturato l'idea che era inevitabile: l'opera, per esempio, per me ha solo la funzione di favorire relazioni umane, non di avere una vita propria. Per questo il mio stile, confuso e schizoide, cambia e ritorna, a seconda delle situazioni. In altre parole la mia relativa irriconoscibilità riflette la mia personalità in maniera funzionale e "terapeutica", proprio perchè al centro del lavoro non c'è l'opera (che in altre parole è un involucro che funge da pretesto per entrare in rapporto col mondo, per esempio per sentirmi meno solo), ma ci sono io. Anche per questo non ho avuto successo, nè, quasi certamente, ne avrò mai. Infatti avrei dovuto essere me stesso senza cambiare. E ciò non era possibile. 
(Roberto Cascone)



Armando Fanelli - 
Armando Fanelli, in-out, 2010stampa fotografica su dibond cm90x120cm
Nel mio viaggio sorvolo il caos del presente, sorvolo le identità codificate e dimenticate in archivi mobili, sorvolo i quintali di immagini che invadono la comunicazione e mi fermo dove mi accorgo, con un’attenta selezione, della presenza dell’ Arte Contemporanea.
 Suggestioni, emozioni, stimoli e riflessioni, pugni nello stomaco, colori, forme e armonie che rendono le opere indimenticabili. La fruizione però completamente contaminata dalle soluzioni web.
 Interi musei che si visitano on line, la visibilità che diventa social, fiere e concorsi digitali dove inviare i lavori con le distanze ormai dimenticate sotto il colpo di qualche clik; inizio così a pensare che questo nuovo equilibrio ha bisogno di una nuova etimologia. Ed ecco che “arte contemporanea” mi sembra poco adatto a come è in continua evoluzione l’uomo e la sua espressività. Personalmente, utilizzando per lo più il linguaggio video, senza tecnologia sarei come un primitivo senza ruota, sarei fermo. 
Il dinamico cambiamento del nuovo mondo comporta innovazione e cultura, il tutto a una vorace velocità a cui difficilmente si riesce a star dietro, ma non è detto che non ci si possa provare. La tecnologia insita alla base di questa evoluzione, bene e male che sia, ci costringe a rivedere la nostra conoscenza e a riflettere sul nostro creare.
Insomma, se 100 anni fa era contemporaneo un Duchamp, oggi credo sia “………….……” (termine da coniare) un lavoro di un artista vivente. (Armando Fanelli)


Gavino Ganau - 
Gavino Ganau, 500 milioni di anni luce da un altro pianeta, 2014, acrilico su tela, 50 X 210 cm.
Panorama flessibile, I'orizzonte contemporaneo ci offre uno scenario sociale ed economico estremamente contraddittorio, spesso insicuro, a volte eccitante: spazio deideologizzato che rompe alcune rigidità, ne afferma altre e tenta d'incanalarci verso una smodata attività di consumo. I confini dell'arte, di tutto, si fanno sempre più labili, il processo liberatorio (ma anche ironicamente critico) di Duchamp si è moltiplicato e ingigantito nella prassi bulimica della nostra epoca, fortunatamente in un non dimenticato, perenne cercare che fa, a volte, la grandezza dell'uomo. (Gavino Ganau)





 David Liver

CRISIS WHAT CRISIS, 2012, Solo Show, Paris
Mi pare che con il contemporaneo ci si possa riferire al tempo della soggettività. All' unico tempo nel quale il soggettivo esiste semplicemente per quello che é, a monte di qualsiasi metabolismo e dove le connessioni mnemoniche sono perfettamente libere e ai margini del tempo. (David Liver)



Simone Loi -
Simone Loi, METACITY, 2012, video installazione, 16/9, 3,55 mn,


 In una piazza tre ragazze passeggiavano e tutte e tre scrivevano sul cellulare senza parlarsi ma tenendosi per mano... come dire stiamo vicine ma siamo distanti le une dalle altre. Nella sua semplicità quell’immagine mi ha particolarmente colpito. Allora ho pensato a come le relazioni tra le persone stiano cambiando profondamente: nei luoghi pubblici, nelle piazze, negli autobus, anche tra amici ci si ritrova ad essere vicini ma distanti, ognuno preso da cosa succede online senza rendersi conto di essere offline per chi si ha affianco. 
Questo isolamento determina un non-spazio intorno all’individuo, o meglio un’architettura invisibile che divide e separa le persone. L’intimità di questo spazio sta divenendo sempre più importante, assumendo delle connotazioni quasi sacre ed inviolabili, in quanto determina una sorta di seconda “casa” che ci consente di disconnetterci dal mondo circostante.
Il video METACITY parla dell’isolamento del navigatore connesso alla rete, dove i pezzi del computer diventano zattere o piccole piazze alla deriva in una visione metaforica della nuova realtà. Nasce così un viaggio verso un ALTROVE fatto di vestigia di tecnologia obsoleta. In questo non-luogo dialogano primati, simbolo del potenziale evolutivo umano e allo stesso tempo visione sarcastica di un certo modo comune di lasciarsi rincoglionire dai vari network.
 In METACITY c’è solitudine e alienazione, ma anche infinite possibilità di creare collettivamente e partecipare di un TUTTO che non deve prescindere dal nostro quotidiano. (Simone Loi) 



Sabrina Muzi-
Sabrina Muzi, Amuleti, 2013, polvere di spezie, - personale, Firenze
Sabrina Muzi con la personale "Pratica naturale" è CONTEMPORANEAMENTE nello spazio Sensus, in Viale Gramsci, 42 a Firenze, dall'11 ottobre all'8 novembre 2014. (Nota redazionale)




Gianni Nieddu-

Le ho sempre sotto gli occhi.
Plumiers le chiamano i francesi, le scatole portapenne.
Le riempio di matite, pennini ma anche spilli, puntine e plastilina.
Mettono ordine sul mio tavolo.
Custodiscono e rassicurano. 
Mi piace aprirle, far scorrere il legno lungo il binario
anche se non devo prendere niente.
Ne ho diciotto e ho deciso un cambio di destinazione d'uso.
Dipinte di bianco sono sale d'attesa, ritirate [...]
 

Iniziavo così la presentazione, brevissima, di un mio recente lavoro.
Mi autocito per comodità, per descrivere come può nascere un'opera.
Utilizzo le cose che mi stanno vicino, che riconosco.
Poi penso a cosa raccontare, senza raccontare troppo, perchè talvolta, ciò che vede lo spettatore è più interessante di quello che pensavi di aver raccontato. 
Giocare un po', essere leggeri e ironici, confidando in retrogusti più profondi.
Non so se sia poco contemporaneo non pensare ai contemporanei, non mi chiedo perchè faccio un determinato lavoro e non penso a chi lo vedrà. Lo faccio per me e se mi diverte farlo vuol dire che va bene così. (Gianni Nieddu)



Coincidenze, 2012, inchiostro e cementite su legno, cm 7 x 23 x 8 





Stefano Serusi, Privato, 2014, dorsi adesivi per raccoglitori, dimensioni variabili.
Collezione Museo d'Arte Contemporanea di Lissone

Contemporaneo è per me quanto visivamente connota un'epoca, l'insieme disordinato di frammenti che vagando nell'aria spargono una nuova idea, un nuovo immaginario che investe cose già esistenti e prima riferite ad un altro immaginario, ad un'altra idea. Contemporaneo è anche una moda, bisogna quindi stare attenti che questi frammenti non ci raggiungano troppo tardi, e li si prenda in considerazione quando altri li abbiano già ampiamente discussi e consumati. Perché questo è la moda: essere alla moda di un secolo fa è ironico, essere alla moda di tre anni fa è triste. 
(Stefano Serusi)



Josephine Sassu – 
Josephine Sassu, Non voglio più sapere nulla, 2014, plastilina e vetro
Certo l’arte, forse mai come ai nostri tempi, gode di una libertà espressiva senza limiti e questo, sebbene sia un fatto largamente positivo, rende nulla la possibilità di rompere gli schemi, fare tabula rasa rispetto alla situazione corrente. Viene in mente Zenone con il paradosso della freccia: una freccia scoccata dall’arco è ferma in ciascuno dei luoghi in cui viene a trovarsi, perciò da una somma di stati immobili non si può produrre movimento, per cui il suo moto è solo apparente.
Nei miei ultimi lavori e nella serie di Esercizi di stile, ho voluto volgere lo sguardo al passato, riflettere sull’arte, guardare opere di artisti e artigiani consolidati, visti ormai come pietre miliari.
Mi impegno in una sorta di “ritorno all’ordine”, dove l’esempio aulico mi riconcilia e connette con il ruolo d’artista contemporaneo, illudendomi di creare un altro paradosso: cercare di guadagnare terreno facendo passi indietro! (Josephine Sassu)



молекула (Molecola) - video


(Marcello Scalas)




Gianfranco Setzu, in-bilico, 2014, grafica digitale

Contemporaneamente a quello che sono io qui ora, ci sono tantissimi altri modi di essere contemporanei. Adesso. (Gianfranco Setzu)



Giulia Sini, Kappa soleva rampare, 2014, collage/pittura digitale e 3D, stampato e incerato
Ero molto preoccupata, qualche anno fa, quando il mio bislacco computer di allora rovinava qualunque file immagine salvassi. Ore e ore di lavoro, chiudevo, riaprivo e almeno un suo terzo aveva cambiato colore, si era spostato, riempito di quadretti fucsia. Puntini fantasma apparivano e scomparivano mentre tentavo di ripristinare l'aspetto originale dell'immagine, riparandola.
Quando, da poco, un nuovo lavoro una mattina mi ha presentato 4 occhi, ero contenta che avesse preso l'iniziativa di cambiare i suoi tratti per somigliare di più a come si sentiva.
Ero molto preoccupata, qualche anno fa, quando i miei pargoli in cartapesta, dopo un po' di tempo dalla nascita, iniziavano a presentare i primi attacchi di parassiti. Era impossibile fermarli, nonostante le cure. Erano destinati a scomparire anche loro. In pratica non si sarebbe salvato niente. Elaborazioni lunghe per vite relativamente effimere, accumuli provvisori, dipartite premature.
Quest'inverno ho salutato i bambini di Zoona, avevano compiuto 14 anni ed erano già morti da tempo dentro la plastica che li proteggeva. Conservo i loro grembiulini neri e ogni tanto guardo affettuosamente le loro foto. (Giulia Sini)



CONTEMPORANEAMENTE
(10^ Giornata del Contemporaneo irregolare)
Catalogo Versione PDF
Catalogo Versione ISSUU

martedì 7 ottobre 2014

Taccuino di San Pietroburgo condiviso con Igor Kopilov. Quinta puntata.

Manifesta 10. 
 Contemporary Art Centre Sergey Kuryokhin ed ex Scuola dei cadetti. 
Alla ricerca di un senso tra colbacchi, kommunalka, bozzoli in cui rifugiarsi, conflitti.
Si parte sempre e comunque dalla Stazione di Vitebsky. 

Provo a rimettere insieme altri frammenti proposti da Igor.
Ancora qualche settimana e Manifesta smonta baracca e burattini, quindi chiudo qui l’argomento.
Joanna Warsza la responsabile del Public Program di Manifesta 10, interviene alla Stazione Vitebsky di San Pietroburgo, una delle più antiche della Russia, da dove partono e arrivano treni provenienti dall’interno del Paese e dall’ex blocco sovietico Tallin, Vilnius, Varsavia, Kiev. Simbolo di cocente attualità il rapporto della Russia con le sue ex repubbliche sorelle, nel mentre la Crimea infiamma. Da quelle città provengono tutti gli artisti coinvolti dalla curatrice in undici progetti: Pavel Braila, Lado Darakhvelidze, Alevtina Kakhidze, Ragnar Kjartansson, Deimantas Narkevičius, Kristina Norman, Ilya Orlov & Natasha Kraevskaya, Alexandra Pirici, Slavs & Tatars. Il Pubblic Program è una risposta critica, artistica e politica all’attuale crisi politica Russa. L’obiettivo è pertanto quello di attivare un pensiero critico di pluralismo e dissenso, riflessione e discussione. Ho purtroppo scarsi elementi per comprendere quanto questa progetto abbia inciso su un pubblico difficilmente identificabile tra turisti, viaggiatori e umanità varia.
La ricerca dell’identità russa passa ancora una volta per la Stazione di Vitebsky? Non so, passano sicuramente uomini e donne in cerca un futuro migliore, in fuga da un passato che non passa.
Moltissimi altri eventi sparsi per la città hanno cercato di rendere visibile lavori e pensieri di artisti poco noti, giovani ed emergenti. Tra questi ultimi ho percepito nostalgia e disorientamento, non molto diverso da quello che emerge nelle periferie dell’”impero”, ai margini provinciali dell’Europa.

Il senso di impotenza, di incapacità in qualche modo di incidere sul presente, quello che rende tutto soffocante è un sentimento che accomuna artisti fuori dal sistema delle grandi mostre, sia che si viva all’est e che all’ovest.
Nell’isola Vasilievsky, dove c’è il quartiere Universitario e l’Accademia d’Arte si trova il Kuryokhin Modern Art Centre. Qui si svolge da 18 anni un festival internazionale di musica e arte.
Dedicato a Sergey Kuryokhin (1954-1996) una delle figure del
panorama musicale russo contemporaneo più interessante e complessa da definire. Originario della Crimea si trasferì a Leningrado, dove si diplomò in pianoforte alla fine degli anni Settanta.
Nell’1984 fonda il Pop-Mechanika Orchestra. L'atmosfera di Pop Mechanics è stata determinata dal fatto che era inestricabilmente legata all'arte e a Timur Novikov (1958-2002) fondatore di Nova Accademia.

Qui al Centro Kuryokhin Paola Pivi presenta la sua versione sanpietroburghese di “Grrr Jamming Squeak”. 
Pivi ha realizzato 100 registrazioni di varie specie di animali, uccelli, cojote, gatti, e le registrazioni di 20 strumenti musicali. I visitatori sono invitati a entrare in uno studio di registrazione, completamente equipaggiato, ad ascoltare e registrare. Con l’aiuto di un tecnico del suono possono creare una composizione musicale.
Alle dieci del mattino, non è possibile visitare l’opera di Paola Pivi, apre alle 12.00.
Igor chiede di entrare lo stesso per fare un giro nel centro. Ci sono i resti di una festa. Forse l’anniversario di Kuryokhin ? E’ morto nel 1996 per un tumore al cervello. <<No! -
risponde un ragazzino che si è appena svegliato - abbiamo festeggiato il compleanno della signora Kuryokhina, la vedova di Sergey e General producer del Centro. >>
Nell’isola Vasilievsky, altri eventi. Negli ex uffici della scuola del Corpo dei cadetti del Palazzo Menshikov, primo edificio in pietra della città, che dal 1731 ha ospitato la scuola del Corpo dei cadetti, oggi parte dell’ Hemitage sono presenti opere di giovani artisti russi. Il passato, la nostalgia presente nei lavori si mescola alla monumentale fatiscenza dell’ ex edificio dell’apparato militare. I grandi congressi, i fantasmi del passato sono presenti ovunque. Si percepisce un senso di straniamento, nostalgia e claustrofobia tutto insieme.
Non so se ci saranno altre puntate da San Pietroburgo, almeno per il momento questa è l’ultima incursione per comprendere la Russia ai tempi di Manifesta 10.
A.R.C.
I.K.


Indice delle puntate:

alcuni link:

Fine