giovedì 20 novembre 2014

Conversazione con Antonella Spanu / artista e designer

Antonella Spanu realizza i suoi lavori esclusivamente con materiali semplici, poveri, con rarissimi interventi tecnologici, privilegiando il fatto a mano. In realtà la pratica utilizzata è funzionale all’opera e non prevale mai sui contenuti. L'auto rappresentazione e i  materiali  come il filo di lana sono presenti nelle sue operazioni artistiche sin dagli esordi. E' attraverso il linguaggio popolare e fumettistico che Antonella porta lo spettatore in un mondo per niente rassicurante, lontano dall'intimismo che l'auto rappresentazione potrebbe far pensare.
Le domande a cui siamo sottoposti  riguardano le nostre vite, sono i nostri stessi dubbi, certo spesso riguardano gli artisti e la vita di un'artista, altre volte, le condizioni di un numero maggiore di persone: la pressione sociale, la solitudine, l'instabilità, l'incertezza del futuro. 

"In fila per due", 2012, dettaglio
Palazzo Ducale, Sassari
A.R.C. Una condizione che viene sentita da molti artisti della tua generazione è quella di artista perennemente emergente. A questo proposito hai realizzato un lavoro molto bello, per la Biennale del 2011 in quello che è stato il Padiglione Sardegna, dal titolo appunto “Artista emergente”. Mi piacerebbe parlare con te di questo argomento, di questa condizione anomala e della genesi di quel lavoro.
A.S. (P) Quel lavoro è nato nel momento in cui sono stata invitata. In realtà era parecchio tempo che non mi occupavo di esporre il mio lavoro in una mostra, fatte alcune eccezioni. Questo invito mi ha preso un po’ alla sprovvista. Inizialmente ero indecisa se partecipare, perchè fondamentalmente non mi interessava partecipare ad una cosa solo per il fatto di esserci. Ma volevo fare una cosa che mi soddisfacesse e avesse un senso in quel contesto. Ho cercato di ironizzare principalmente su me stessa. Sul fatto che così dal nulla riemergessi, alla veneranda età di quarant’anni e mi buttassi nella mischia.
Con tutto che non ho mai abbandonato il mio lavoro, ma ero un po’ fuori dal circuito delle mostre. Ero un po’ annoiata dall’ambiente.

Antonella Spanu, "Artista emergente", 2011,
disegno su carta , installazione,
54° Biennale di Venezia, Padiglione Sardegna,
Masedu, Sassari
A.R.C. Per i tuoi lavori hai sempre usato i materiali con raffinata ironia. In questo caso hai realizzato un lavoro molto fragile con una carta povera, quella che si usa al mercato per il pesce.
A.S. (P) Sì, (risata) quando sono andata al Masedu per montare il lavoro, sono arrivata con una scatola di scarpe. Il lavoro smontato era minuscolo. E’ stato molto divertente.

Antonella Spanu, "Artista emergente", 2011,
disegno su carta , dettaglio,
54° Biennale di Venezia, Padiglione Sardegna
Masedu, Sassari
A.R.C. Ti sei auto-ritratta, come fai da sempre. Il centro delle tue narrazioni sei tu e questa figurina che ti rappresenta. Un disegno molto raffinato, pulito.
A.S. (P) Sì, è un pretesto. Uso questo personaggio, che sono io, come pretesto per raccontare delle cose. In genere cerco di usare un tono leggero, provocatorio, un po’ giocoso per trattare temi che non sono leggeri.

A.R.C. Non sei mai tenera: la forma è giocosa, ma i contenuti non lo sono per niente.
A.S. (P) La forma è giocosa il contenuto no. Infatti è quello l’intento. Una narrazione è un po’ fumettistica, perchè comunque il mio mondo parte da lì, il mio bagaglio attinge molto ad una certa cultura popolare, sopratutto quella dei fumetti, di certa narrazione, anche cinematografica.
Questa forma giocosa mi serve poi a scavare in tematiche più profonde, in genere legate alle difficoltà del vivere. I temi sono universali, nonostante il mio lavoro sembri chiuso in un microcosmo perchè c’è un’auto-rappresentazione. Non vuol essere ombelicale, una narrazione che mi vede chiusa in me stessa, al contrario, io non parlo di me, ma delle problematiche che sono un po’ di tutti.

Antonella Spanu, “Nel tunnel dell'auto-rappresentazione”,
2012, disegno su carta, lana, dettaglio
A.R.C. L’immagine dell’artista emergente, non riguarda solo te, ma un’intera generazione, come del resto il precariato, tematiche ambientali e sociali.
A.S. (P) Certo tra l’altro era un ironizzare sull’emergere, da cosa? Siamo in una situazione di sprofondamento dal quale dobbiamo arrampicarci per emergere? Da dove emergiamo?

A.R.C. Mi ricordo i tuoi primissimi lavori, già all’Accademia e subito dopo, intraprendevi lo stesso processo narrativo, lo stesso scarto linguistico utilizzando il cucito, non il disegno. Un personaggio che ti assomigliava raccontava, anche allora, certe problematiche del vivere e, sopratutto del vivere da artista. Parlami del tua propensione al racconto.
A.S. (P) Sì, cucivo e scrivevo. Sono i miei interessi, la lettura, il cinema e il fumetto. Le cose che mi piacciono e con le quali sono cresciuta. Un po’ anche seguire letteralmente un filo. C’era un discorso metaforico tra il filo del racconto e l’uso materiale del filo.

 Antonella Spanu,“Ho perso il filo del discorso”, 1998,
filo di lana, lenzuolo di cotone, installazione,
 dimensione ambiente
A.R.C. Dei lavori che hai fatto quale ti rappresenta di più, in generale. Quello a cui sei più legata, che più rappresenta lo sviluppo della tua ricerca?
A.S. (P) Forse... sono due, te ne cito due. Uno che ho amato tanto ma anche odiato, che ha segnato uno spartiacque nella mia ricerca, da lì in poi ho iniziato a cambiare.
Hai visto “il filo del discorso”, quello che avevo esposto all’Accademia?

A.R.C. Sì, me lo ricordo.
A.S. (P) E’ una istallazione, si intitola “Ho perso il filo del discorso” (1998), quel lavoro lì è stato uno spartiacque.
La ricerca del cucito, del filo fino a quel lavoro lì mi apparteneva, però tenevo ancora dei legami con certe tradizioni di artisti della Sardegna come ovviamente Maria Lai.

Antonella Spanu, “E dopo l’Accademia cosa vuoi fare?”1999,installazione,
 Galleria Kairòs, Sassari
A.R.C. Del resto tu vieni da Mogoro che ha una tradizione tessile importante.
A.S. (P) Certo, c’era anche un legame affettivo che mi ha portato in una certa direzione.
Fino a quel lavoro lì, i miei erano anche troppo simili a quelli di Maria Lai. E anche in quello c’è una familiarità. Per questo è un lavoro che ho amato tanto, ho dato tanto, però l’ho anche odiato, perchè lo consideravo anche un po’ ruffiano, una cosa troppo facile. E’ piaciuto tantissimo eppure ero consapevole del fatto che ancora non stavo mettendo me stessa completamente in gioco.
Antonella Spanu, Senza titolo, 2000,
installazione panno lenci e ricami,
dimensione ambiente
La me stessa è venuta fuori dopo. Sempre con il cucito, però nella versione fumettistica. Con cose che ancora non avevo visto in giro e che mi appartenevano di più.
Dalla presa di coscienza di star percorrendo una strada che mi apparteneva, ma fino ad un certo punto, e volermi staccare da altre figure artistiche ho iniziato a fare delle cose che mi rappresentassero di più, fino a giungere al lavoro che esposi alla galleria Kairòs “E dopo l’Accademia cosa vuoi fare?”( 1999).
Antonella Spanu, Senza titolo, 2000,
installazione panno lenci e ricami,
dettaglio
E qui inizia questa ricerca tra il micro e il macro, il mio microcosmo, la rappresentazione di tutta la mia storia: il mio letto usato durante gli anni di studio, la rappresentazione dei vari eventi più importanti della mia vita, le tappe che mi avevano condotto a quel punto della vita. E poi la domanda finale, l’angoscia finale <<Che cosa farai dopo?>> La domanda che ti fanno tutti quando arrivi ad un obiettivo della tua vita. Cosa che è accaduta a tutti noi una volta raggiunti certi obiettivi. Poi, l’orror vacui <<Ora cosa faccio?>>. Quindi arrivare all’universale. Ho cercato da quel momento in poi di mantenere questo indirizzo, cambiando materiali e tecniche.

Antonella Spanu, “Nel tunnel dell'auto-rappresentazione”, 2012,
disegno su carta, lana, dimensione ambiente

A.R.C. Negli ultimi anni ha prevalso il disegno?
A.S. (P) Per me è solo un mezzo. La mia ricerca non è sui materiali. Metto molto impegno nella ricerca dei materiali più appropriati, perchè faccio un lavoro molto legato alla manualità, però la manualità non è fine a se stessa. Non c’è una ricerca fine a se stessa su un materiale piuttosto che un’altro. La scelta è in base alla necessità che ho in quel momento e al tipo di lavoro che ho bisogno di fare. L’unico filo conduttore che ho tenuto nel corso degli anni e questo: partire da me per raccontare il mondo.

A.S. (P) Partecipare alla Biennale, seppure in una delle sezioni regionali, ha cambiato qualcosa?
A.S. (P) Assolutamente no! Io alla fine ho partecipato per gioco. Sapevo da principio che non avrebbe cambiato niente nella mia vita, perchè è ovvio che sia così, nonostante ci sia stato chi si è incaponito nel volere dare giudizio su chi partecipasse o meno. Tra l’altro non so neppure chi mi abbia voluto e scelto. Non l’ho ancora scoperto. Ho partecipato perchè avevo un lavoro e qualcosa da dire, a prescindere da tutto.

Valigetta
A.R.C. In realtà, non hai mai interrotto il tuo lavoro artistico. Da quando ci conosciamo ti ho sempre visto impegnata in un progetto.
Raccontami del tuo lavoro di designer, di cui non abbiamo ancora parlato.
A.S. (P) Spesso le persone dell’ambiente artistico mi chiedono che cosa stia facendo artisticamente e mi sorprende che tendono a separare le cose, come se quello che faccio come lavoro commerciale fosse slegato da un lavoro artistico. Perchè non è arte fine a se stessa, perchè è design.

Ciondolo
A.R.C. Realizzi con la stessa precisione tutto ciò che fai. Negli abiti, nella bigiotteria c’è sempre la bambina in azione, i mostri e tutti i tuoi personaggi. Gli oggetti sono facilmente riconoscibile come tuoi c’è sempre la stessa attenzione al segno e al contenuto.
A.S. (P) Sì, applico gli stessi temi. Questo progetto è nato realmente un po’ per gioco, in un momento in cui stavo cambiando vita, cambiando lavoro, avevo cambiato città. Vivevo in una città in cui gli artisti si mettono molto in gioco.

A.R.C. Dov'eri?
Antonella Spanu,“Tsk tsk, wow, emm,
cucù,mumble mumble,
sgrunt, oops, shhh, aaaah, pant,
eheh”, 2008,
pennarelli su carta,
disegni incorniciati 24x33cm
A.S. (P) Ero a Barcellona, perchè a Barcellona sono tanti gli artisti che per tirare a campare si occupano di design e vendono i loro lavori nelle bancarelle. E’ una mentalità meno provinciale rispetto a questi temi.
Qui c’è un atteggiamento molto snob riguardo al lavoro artigianale, al design. Gli stessi artisti ti guardano come se svendessi il tuo talento.
Ho iniziato questa avventura perchè inizialmente mi dava una certa libertà di espressione. Potevo sperimentare qualunque cosa, senza sentire la pressione. Con gli anni ho incominciato a sentire un’altro tipo di pressione, perchè ti trovi comunque intrappolata nel meccanismo delle cose che vendi di più, delle cose più carine, quindi un po’ schiavo del mercato, mentre le cose che trovi più interessanti, dal tuo punto di vista, ti trovi a farle molto poco. Comunque cerco di tenere un equilibrio tra le due cose e continuare a sperimentare.


"Disabitando punto e a capo" 2000,
installazione, Link, Sassari, 
A.R.C. Non abbiamo detto come si chiama!

A.S. (P) Si chiama “Disabitando”. Tra l’altro il nome proviene da un titolo di una mostra che avevo fatto nel 2000 al Link, “Disabitando, punto e a capo”. Mi piaceva il titolo. Quella è stata tra l’altro una mostra che ha segnato un’altra delle mie tappe, la feci prima della mia partenza da Sassari. Un ennesimo cambiamento.
"In fila per due" 2012,
installazione,
Palazzo Ducale, Sassari
Sono ripartita da lì, perchè lì mi ero fermata. Da Sassari mi ero trasferita a Torino, lavoravo come restauratrice e non avevo più tempo per i miei progetti artistici. Torino ha segnato degli anni molto frustranti per me, perchè non riuscivo più a fare qualcosa di mio. Ri-iniziando a mettermi in gioco (a Barcellona) sono voluta partire da “Disabitando”.

A.R.C. Tra l’altro quello era un lavoro molto interessante, era presente ancora il filo di lana ma la narrazione sui quadretti aveva già preso uno spazio importante. Un vero progetto di passaggio.
A.S. (P) Fermarmi per riflettere diversi anni mi è servito. Dopo quel lavoro ho partecipato ad alcune mostre, ma con scarso entusiasmo. E’ stato importante fermarmi a capire quello che veramente volessi, che non era “sfondare” ma cercare un percorso, lavorare.

A.R.C.

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