domenica 7 dicembre 2014

Corrispondenze - Stefano Serusi 07/12/14

 Ciao Stefano,
il tuo riferimento al pubblico, nella scorsa lettera, mi ha dato da riflettere.
In realtà non ho mai pensato che gli artisti, esclusi quelli riconoscibili come Pop Star, avessero un pubblico. Un pubblico come quello che va a vedere gli spettacoli, i concerti, quello pagante.
Il lavoro di un’artista plastico-visivo è seguito veramente da pochissimi. Questi pochissimi sono in realtà altri artisti, qualcosa che non riesco a definire come “il pubblico”. Sono artisti che si pongono come occhio critico e cerniera verso l’esterno. Uno è il diaframma dell’altro, un esterno che forse diventerà pubblico, forse no, sono gli artisti, i collezionisti, i critici, quelli che voglio capire il mondo attraverso il non verbale. Ma è davvero un pubblico? Lo vogliamo chiamare così? Il pubblico è quello dei musei: indefinito, eterogeneo, paga il biglietto. Chi segue un artista nel suo processo creativo non è “il pubblico”. Il pubblico vuole il pacchetto finito, con il fiocco e tutto, vuole anche l’etichetta.
Penso che un artista prima di essere musealizzato non ha un pubblico, ma qualcos’altro a cui non so dare un nome. Sostenitori?
Sono sicura di aver tralasciato qualcosa, nell’affermare l’assenza de “il pubblico” per un artista visivo contemporaneo, di non aver preso in considerazione forse l’aspetto più caratterizzante il nostro contemporaneo, cioè quella condizione che permette a giovanissimi talenti di essere musealizzati alla loro prima mostra, anzi alla loro prima opera. E’ una leggenda? Non so, sta di fatto che in questo caso, il pubblico c’è, e c’è prima ancora di avere quel mondo di cerniere e diaframmi che sono gli altri artisti, gli appassionati, i sostenitori con cui confrontarsi e che permette ad un artista di fare ricerca.

Ciao Anna Rita,
tocchi un tasto dolente, ma non per me. O meglio, non eccezionalmente.
Proprio per quanto ti ho detto nell'altra lettera: per me si tratta di trovare delle affinità.
Ho avuto la fortuna - grande - di avere quello che si chiama "maestro" (al femminile la parola fa pensare alle tabelline) in Pinuccia Marras, ed uno dei suoi indiretti insegnamenti è che l'artista debba costituire anch'egli un pubblico, sviluppare una curiosità intellettuale verso tutte le forme, dal teatro al cinema, dalla danza allo sport, e così via. Questo oltre a suggerirmi altri immaginari, ha definito la mia etica individuale, che non è un'etica corporativa, corrispondente a parametri stabiliti dallo specifico dell'arte, ma si lega ad un ambito umanistico più ampio.
Voglio quindi disinnescare il cliché per cui l'artista debba coinvolgere necessariamente la casalinga o l'operaio (che tra l'altro secondo gli attuali canoni della partecipazione sarebbero coinvolti in quanto tali, e non come persone), secondo me il problema di molti operatori culturali nel settore delle arti visive è - anche - la difficoltà di indagare e comprendere l'impegno intellettuale degli operatori culturali di altri settori. Immagino sia una cosa pressoché impossibile accostare l'arte all'architettura, o alla letteratura, senza immaginare un conflitto. Per l'artista medio l'architetto, il poeta o il regista sono invariabilmente dei cialtroni.
Ho avuto la fortuna di poter utilizzare il mio impegno di intervistatore per Cerchio (https://cerchiomagazine.wordpress.com/) per spaziare dall'arte contemporanea verso quei modi interpretativi del reale che comportano una precisa presa di posizione sulla società. Non per forza quindi l'artista per dialogare deve avere la cornice della mostra, o peggio della sua mostra, come un attore in un teatro vuoto.
Il nostro punto di vista è quindi differente, capisco cosa vuoi dire rispetto al pubblico, ma per me la mostra non è quel "pacchetto finito", piuttosto un collegamento tra altre arti e altre domande. Ma forse anche per te, e mi hai voluto provocare?


Stefano Serusi. Palazzo romano e Lamborghini, 2019. Carta, automobile di vetro, dimensioni variabili

Stefano Serusi. Palazzo romano e Lamborghini, 2019. Particolare

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