lunedì 8 dicembre 2014

Conversazione con Josephine Sassu/ artista (seconda parte)

A.R.C. La scorsa volta abbiamo parlato delle sculture di plastilina, l’ultimo dei tuoi lavori che possiamo far rientrare nei “Monumenti provvisori”. Abbiamo però tralasciato quegli aspetti del tuoi lavoro che ti vedono in collaborazione con altri.
So che stai seguendo un progetto editoriale, di cosa si tratta?
J.S. In questo momento sto realizzando un lavoro che mi diverte molto. Mi hanno chiesto di illustrare delle storie per bambini i cui protagonisti sono ovviamente animali. I miei disegni non sono esattamente delle illustrazioni nella forma ortodossa. D’accordo con l’autore disegno degli aspetti che nella storia ci sono ma non vengono dette. Il protagonista è un koala, la sua famiglia, gli amici.


Zebra Crossing, 2008, Facoltà di Lettere e Filosofia,
Sassari
A.R.C. Non hai mai pensato di occuparti di illustrazione?
J.S. No, perchè io non nasco come disegnatrice, anche se poi è capitato che mi suggerissero questa cosa. In realtà non ci avevo mai pensato, e in questo momento mi sto divertendo moltissimo.

A.R.C. Quanto è importante divertirti nel tuo lavoro?
J.S. C’è un momento del lavoro che non si può certo chiamare divertimento, quando poi si è avviato il meccanismo, si lascia il progetto mentale, c’è sicuramente un grande piacere. Siccome i miei personaggi sono sempre divertenti, a volte buffi c’è questo dialogo tra me e loro. E’ molto importante mantenere quel gusto di stupirsi di piccole cose. In questa momento, nel disegnare questi koala c’è il gusto dell’invenzione, lo studio delle pose, dei movimenti, capire come funziona. Mi sono inventate un koala pirata, un koala Tarzan. Vado a vedermi le pose: Tazan che vola, Braccio di ferro ecc...

Zebra Crossing, 2008, Facoltà di Lettere e Filosofia,
Sassari, dettaglio
A.R.C. Nonostante l’inizio casuale, questo dell’illustrazione è un percorso che intendi proseguire o pensi che questa esperienza rimarrà unica?
J.S. Questa è una fase del lavoro sicuramente embrionale. Quando me l’hanno proposto e quando ho iniziato a lavorare ho pensato fosse una cosa eccezionale, ma che infondo possa diventare anche questo un episodio portante del mio percorso. Non mi pongo neanche il problema, sono un’artista prestata all’ illustrazione. Non mi sento in fondo un’illustratrice. Non è produrre belle immagini, ma introdurre nelle belle immagini, ammesso che poi siano belle, cose che appartengono il mio modo di pensare. In questo momento penso in prospettive brevi, non proprio alla giornata, ma indubbiamente i miei progetti sono molto ridotti nel tempo.

A.R.C. Ma non è un po’ limitante per un’artista pensare a breve termine? Un artista non dovrebbe

pensare a progetti a prescindere dal fatto che riescano. Gli artisti non sono quelli che aprono le porte al futuro, anche per tutti gli altri?
J.S. In tutti questi anni, anche nel modo che ho avuto di operare, ho creduto in scelte non propriamente vincenti. Scegliere di vivere in Sardegna, anche se ho lavorato molto fuori dalla Sardegna, lavorare con cose piccole che poi potessero dare grandi cose. E’ stata certamente importante, una cosa in cui ho creduto molto. Ma al momento il mio punto di fuga non riesce ad essere lontano.

Josephine Sassu,  A Natale sarete tutti più buoni, 2009,
Il buco, Sassari, 
A.R.C. Molti artisti lavorano su dei piani che per i contemporanei sono complicati. La determinazione nel lavorare su prospettive future, nonostante tutto, apre ulteriori occasioni di riflessione. Non credi che un artista lavori anche per i posteri, non solo per i contemporanei?
Josephine Sassu,  A Natale sarete tutti più buoni, 2009,
Il buco, Sassari, dettaglio (foto G.Flore)
J.S. Questo l’ho sempre creduto. Certamente si è pionieri, se si è artisti. Per me questo è un momento di transizione. Tutto ciò che ho creato in questi vent’anni mi rende molto orgogliosa, lo sto facendo rigermogliare, perchè penso che più che aver creato delle cose ho messo in moto delle energie. So di avere molte cose da fare, lo so. C’è da capire dove va a finire questo Paese e se io ci posso rimanere in questo Paese.
Penso che rinunciare a cose molto eclatanti, non solo nella risoluzione estetica del lavoro, ma anche nelle scelte di percorso, alla fine siano fondamentali e premianti.
La fragilità del mio lavoro è fondamentale, l’artista crea altri modi di vivere e altri mondi. Pensare di vivere ancora in un mondo che non ha prediletto la qualità, che ha prediletto una produzione estrema di tutto è devastante. E’ chiaro che tutto questo è all’opposto di quello che io ho voluto dire con il mio lavoro.

A.R.C. Che rapporto hai con le tue opere?
J.S. Ogni volta che produco un lavoro in realtà e come se lo avessi già fatto. Fisicamente lo costruisco, però il mio problema, quando ho un’idea e la realizzo è: <<Chissà se avrò altre idee!>>
Il progetto a cui sono più affezionata magari è quello che farò tra un anno.
Nel mio modo di lavorare, per quanto ci siano delle costanti, la difficoltà è avere l’energia, la forza, la motivazione di crearne un’altro. E’ un pò come credere di avere un’altro figlio.
Poi in realtà alcuni lavori li vedo lontanissimi, tipo “La valle degli orti” 1997 è lontanissima. Mi sembrano quasi delle cose che non ho prodotto io. Hanno un’autonomia, nella loro forma, nella loro fragilità. Ad esempio “Specchio delle mie brame” 2000-2003 lo vedo come un mostro, ho partorito un mostro di bellezza.


Specchio delle mie brame 2000-2003,
graffite su tela, dimensioni variabili
A.R.C. Parlavi della fragilità delle tue opere, che presumo riguardi sia l’aspetto dei contenuti che quello materiale, sono lavori facilmente deperibili.
J.S Per tutti i miei lavori, nello specifico quelli che ho prodotto di recente si pone il problema della conservazione, naturalmente quelli che si possono conservare.
Il trasporto sta diventando problematico. Far viaggiare delle sculture di plastilina richiede tutta una serie di procedimenti complessi.
Specchio delle mie brame 2000-2003,
graffite su tela, dimensioni variabili
Di recente ho partecipato a “Body Circus” una collettiva nella Pinacoteca Carlo Contini di Oristano. Ho fatto delle piccole sculture con soggetto animale, che sono quasi delle riproduzioni, in senso lato, di opere storiche di artisti sardi, che io amo molto. Non solo c’era l’attinenza al tema della mostra, che era il corpo, ma anche un mio modo di rapportarmi ai maestri del passato.
Per tornare al discorso, trasportare queste piccole sculture di plastilina ha richiesto una cura considerevole. In questi ultimi lavori, per quanto siano deperibili, per quanto siano fragili ho cercato di applicare una cura, per tornare al discorso che si faceva prima, per affermare una mia necessità di autodeterminazione.
Quella cosa fragile lì, sono io, quindi mi auto-proteggo. L’affezione verso i lavori non c’è. Quelli più lontani appartengono quasi ad un’altro mondo.
Ieri mi è capitato che mi incontrasse una persona che non mi conosceva, ma ha capito che ero io. Mi ha chiesto:  <<Fai ancora quei lavori degli anni Novanta. A me sarebbe piaciuto averne uno, me lo rifaresti?>>. Si riferiva a “Gli affettuosi bacilli”. Tecnicamente sarei in grado di rifare le cose che ho già fatto, ma non delle riproduzioni.

Pubblic, Parco di Monserrato, 2009, Sassari
A.R.C. Certe problematiche che ponevi allora, sia per “Gli affettuosi bacilli” che per “La valle degli orti”, non solo, sono ancora valide, ma se ci riflettiamo certe problematiche si sono allargate: penso alla cura del territorio, le ultime alluvioni ne sono testimonianza, ai rapporti familiari sempre più complessi e sfilacciati, agli allarmismi sanitari. Sarebbe interessante far rientrare queste opere nel progetto che ti sei prefissata, quello di ripercorrere i tuoi lavori, ridefinirlo rispetto a quella che sei oggi, no?
J.S. A prescindere dal caso specifico, ho sempre pensato che nel mio percorso artistico ci fossero dei progetti che ho realizzato, e gli ho fatti nella maniera in cui li volevo fare, fossero un frammento di una cosa molto più complessa, che avrei potuto realizzare in seguito. Ancora riesco ad immaginare delle “Valli degli orti”.
Pubblic, Parco di Monserrato, 2009, Sassari
Certamente è un problema che mi sto ponendo. Naturalmente, non ad una riproduzione tout court delle opere. Del resto io non sono più quella persona e anche le problematiche sono cambiate. Potrei anche farmi un’autoritratto in forma animale, ma in questo momento il modo che ho di dire chi sono, come sono non è tanto nell’autoritratto, quanto nella forma, nell’instabilità di queste ultime sculture. Una parte di me c’è. Se avessi l’occasione di affrontare nuovamente quell’argomento, la forza, non solo fisica, ma sopratutto economica, certamente.

A.R.C. Sarebbe interessante si facesse avanti uno sponsor. Molte grandi aziende paiono essere interessate all’ecologia, all’uso sostenibile delle risorse. Potrebbero finanziare un tuo progetto "Valle degli orti" terzo millennio, che ne dici?
J.S. Usiamo quest’intervista per avvicinare i Mecenate. Si facciano avanti. (ah ah!)
Se continuiamo a dire che il valore dell’Italia è nella creatività, spero si decida finalmente di investire in creatività.

A.R.C. L’instabilità, il provvisorio è un tema ricorrente nei tuoi lavori. Quando ha condizionato tutto il tuo modo di confrontarti con il mercato?
Body Circus, 2014, Pinacoteca C.Contini,
Oristano
Il mercato dell'arte in Sardegna è piuttosto limitato, almeno per me. Non ricordo se la predilezione per tecniche e materiali deperibili sia precedente o successiva a questa presa di coscienza, mi pare quasi come stabilire se sia nato prima l'uovo o la gallina. Molto hanno fatto le mie elucubrazioni sull'arte, l'idea che l'arte sia sempre qualcosa di estremamente fragile, anche quando prodotta con materiali durevoli, potenzialmente eterni.
Quando lavoro ad un'idea non mi pongo il problema del mercato, così come non lo farei se fossi un'artista di livello planetario, il mercato ,abbiamo visto, è capace di accogliere tutto, quindi perchè non comportarsi come se questo fosse veramente possibile anche per me! Certo, l'assenza di mercato è gia di per se un limite all'espressione del proprio lavoro, comunque sin ora mi pare di essere riuscita a mantenere un'equilibrio.

Sento amici pittori che si lamentano di un calo considerevole delle vendite, io non ho mai venduto molto ma mai come quest'anno ho avuto testimonianza di stima e considerazione, una forma di "mercato" consolatorio, certamente, ma comunque importate in un'epoca in cui il "consenso" acquisisce forme sempre più fluide e mutevoli.
Body Circus, 2014,  Pinacoteca C.Contini,
Oristano
Spero comunque che i tempi migliorino, è dura resistere e continuare a credere che questo sia importante, non solo per me ma anche per l'Isola, come ho sempre creduto ( anche per l'Italia,ovviamente, ma dalle nostre coste, a parte altre isole, non si vede altro)
Tengo sempre presente che le mie braccia sono rubate all'agricoltura quindi, nell'insieme, mi sento già privilegiata, mercato o non mercato!

A.R.C. Hai citato “Body Circus”. Non è la prima volta che nei tuoi lavori fai riferimento ad artisti sardi del Novecento. Come nasce quest’idea?
Body Circus, 2014, Pinacoteca C.Contini,
Oristano
Ho sempre pensato che, quasi inevitabilmente -anche per ragioni di mercato- l'artista arrivi ad imitare se stesso. 
In quest'ultimo periodo ho voluto mettere le mani in tasca, rivoltarle, capire se mi fosse rimasto qualcosa da ripescare e ripensare. Dato che lo sguardo era rivolto indietro ho voluto dare retta alla mia passione per l'arte, tornare idealmente ad una modalità da studentessa, ma non escludo, in questo, anche una certa dose di sindrome di Peter Pan. Insomma, come quando il corpo sottoposto a digiuno prolungato, inizia a nutrirsi di se stesso, ho voluto trovare una nuova via nella vecchia.
La scelta di artisti sardi nasce da un lavoro specifico per “Body Circus” dove il tema era il corpo, appunto, e mi sono domandata come, con un tema già così profondamente e largamente scandagliato, potessi dire qualcosa che confermasse le modalità del mio percorso, ma che mi permettesse di dire e dirmi qualcos'altro, oltre che collocarmi come una delle artiste sarde in una rosa di artisti nazionali ed internazionali.


A.R.C.

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