Carissimo Stefano,
volevo fare la spiritosa e ho raccolto uno schiaffo da maestrale.
Bellissimo!
Non ricordavo avessi fatto una tesi su Courbet. Ora che ci penso, alcuni
dei tuoi primi lavori sono una colazione sull’erba e un tè (nel deserto) dentro
una tenda militare. Scusa se non ricordo i titoli. Le marine però non le avevo
prese in considerazione.
Rispetto ad allora, i lavori recenti mi sembra abbiano raggiunto una
sintesi minimalista più evidente, meno tendenti al narrativo. Non c’è un
coinvolgimento ammiccante e il più delle volte il loro senso più profondo sfugge.
Siccome, non ti ho mai chiesto esplicitamente di cosa ti stai occupando
in questo momento, raccontami dell’ultimo lavoro esposto. E’ “Caro a Nettuno”, se
non sbaglio.
Nella mia testa aleggiano una serie di rimandi estetici precisi: quello
più evidente è Piero della Francesca nella “Pala di Brera”. Del resto, tu stesso
sottolinei questa relazione nel tuo blog, con la pubblicazione di una foto del frontespizio
di un volume monografico della Jaka Book- però non nego di intravedere anche riferimenti
all’architettura proto-razionalista di Piacentini. Mi sembra evidente nella
sequenza degli archi di panno nero, che determinano uno spazio altro in “Caro a Nettuno”, così come in ”Edificio Dantesco”. In “Palazzo romano e Lamborghini” è
palese.
Piacentini, sarà per gli archi è quello che salta più agli occhi, ma
trovo un tuo preciso interesse verso l’architettura pro-razionalista, quella degli
elementi architettonici classici: la colonna, l’architrave, la volta e
sopratutto l’arco. Aspetti del classico e dei classicismi in tutte le loro
manifestazioni plastiche.
E sempre, se non sbaglio -per passare ad un’altra curiosità- non è il
primo lavoro nel quale utilizzi come elemento una pietra grezza. Un paio di anni
fa a Berchidda hai esposto un lavoro che aveva a che fare con Santa Barbara e
il sasso era l’elemento principale dell’opera.
Mi racconti un po’ di questi percorsi?
Guarda, cosa ho trovato! Scommetto che non la ricordavi? Marzo 2009.
Marzo 2009 (foto Josephine Sassu) |
Ciao Anna Rita,
ti ringrazio per la fotografia, è bello
sapere che l'hai tenuta con te. Eravamo nello spazio del Palazzo della
Provincia di Sassari dove c'è la collezione d'arte composta con partecipazione
e lungimiranza da Pietrino Soddu durante la sua presidenza.
Mi piace in questa tua ultima lettera
riscoprire l'attitudine a trovare i nessi, ultimamente ai curatori devo sempre
dichiararli da subito, è raro trovare un'autentica capacità di indagine. Forse
l'arte contemporanea pecca di ruotare intorno a poche parole chiave, senza
attingere altrove che da se stessa...
I collegamenti quindi che hai già anticipato
semplificano la risposta.
Cerco di guardare con lucidità quanto ho
fatto in anni di ricerca, e reputo opportuno ritornare a dei concetti, dei modi
e dei materiali che necessitano di un approfondimento o di richiami. Per me
l'idea di un percorso è basilare, analizzo gli spazi pensando sempre con
quale percorso il pubblico vedrà le opere, che è lo stesso percorso attraverso
cui un ideale personaggio, scelto a simbolo nella mostra, ha osservato e usato
le cose rimaste come traccia. Questo approccio è sicuramente legato
all'avere iniziato con la performance, la centralità di una figura in movimento
è la stessa che è poi diventata immagine fotografica, qualche volta una
fotografia trovata, con un personaggio sconosciuto di cui ho voluto immaginare
un cammino, in un paesaggio, in un'architettura o interiore.
Per me il percorso nel paesaggio è legato
alla solitudine, immagino una persona abbandonata che osserva dal basso vette
sublimi o scogliere irraggiungibili. Al contrario vedo nell'architettura un
senso di accoglienza e, nella cultura che racconta, la base di una spiritualità
laica.
La serie di opere in cui ho usato gli
archi, che sono ovviamente dei percorsi, come è più palese in Caro a
Nettuno, nascono dalla rilettura dei Principi architettonici di
Wittkower e, come hai intuito, da un certo clima razionalista che conserva-va,
come diceva Zevi, un po' di D'annunzio nel compasso. Non tanto Piacentini,
piuttosto il Luigi Moretti che aveva realizzato un appartamento per il gerarca
Ettore Muti nelle mura aureliane, un'alcova improbabile suddivisa da archi
romani veri e tende da cinema muto (Muti-muto, non ci avevo pensato).
La pietra sospesa viene dal mare, è un
elemento simbolico di tradizione massonica che allude ad una forma che aspira
al miglioramento (che si contrappone alla forma pura della pietra levigata e
dell'uovo). L'osservazione di questo elemento, incorniciato da un percorso tra
gli archi che simula l'oscurità di una grotta, definisce un luogo sacro,
d'ispirazione e rigenerazione (come è chiaramente il mare).
Barbara nella folla, l'altra opera che citi, è un mattone avvolto in un foulard, un'arma che
ho immaginato scagliata da una donna in segno di protesta, una donna che si
discosta dalla folla, e che ha un nome e un elemento che racconta la sua
femminilità non avvilita dal lavoro. Credo crei una forte contrasto con il
sasso di Caro a Nettuno, da una parte Milano, la coscienza di classe,
l'autodeterminazione, dall'altra Alghero con il mare, il mito, la
contemplazione... si possono unire questi caratteri per una società migliore?
Stefano Serusi. Barbara nella folla, 2012. Terracotta, seta, cm. 15x11,5x6. |
Stefano Serusi. Loisir, 2013. Veduta della mostra presso The Worbench, Milano |
Dove trovare Stefano Serusi:
http://stefanoserusi.blogspot.it/
Lettere:
Corrispondenze- Stefano Serusi 01/12/2014
Corrispondenze - Stefano Serusi 07/12/2014
Corrispondenze - Stefano Serusi 11/12/14
Corrispondenze - Stefano Serusi 22/12/14
Correlati:
CONTEMPORANEAMENTE, 10 Giornata del Contemporaneo, 2014
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