domenica 14 dicembre 2014

Corrispondenze - Stefano Serusi 14/12/14

Carissimo Stefano,
volevo fare la spiritosa e ho raccolto uno schiaffo da maestrale. Bellissimo!
Non ricordavo avessi fatto una tesi su Courbet. Ora che ci penso, alcuni dei tuoi primi lavori sono una colazione sull’erba e un tè (nel deserto) dentro una tenda militare. Scusa se non ricordo i titoli. Le marine però non le avevo prese in considerazione.
Rispetto ad allora, i lavori recenti mi sembra abbiano raggiunto una sintesi minimalista più evidente, meno tendenti al narrativo. Non c’è un coinvolgimento ammiccante e il più delle volte il loro senso più profondo sfugge.
Siccome, non ti ho mai chiesto esplicitamente di cosa ti stai occupando in questo momento, raccontami dell’ultimo lavoro esposto. E’ “Caro a Nettuno”, se non sbaglio.
Nella mia testa aleggiano una serie di rimandi estetici precisi: quello più evidente è Piero della Francesca nella “Pala di Brera”. Del resto, tu stesso sottolinei questa relazione nel tuo blog, con la pubblicazione di una foto del frontespizio di un volume monografico della Jaka Book- però non nego di intravedere anche riferimenti all’architettura proto-razionalista di Piacentini. Mi sembra evidente nella sequenza degli archi di panno nero, che determinano uno spazio altro in “Caro a Nettuno”, così come in ”Edificio Dantesco”. In “Palazzo romano e Lamborghini” è palese.
Piacentini, sarà per gli archi è quello che salta più agli occhi, ma trovo un tuo preciso interesse verso l’architettura pro-razionalista, quella degli elementi architettonici classici: la colonna, l’architrave, la volta e sopratutto l’arco. Aspetti del classico e dei classicismi in tutte le loro manifestazioni plastiche.
E sempre, se non sbaglio -per passare ad un’altra curiosità- non è il primo lavoro nel quale utilizzi come elemento una pietra grezza. Un paio di anni fa a Berchidda hai esposto un lavoro che aveva a che fare con Santa Barbara e il sasso era l’elemento principale dell’opera.
Mi racconti un po’ di questi percorsi?
Guarda, cosa ho trovato! Scommetto che non la ricordavi? Marzo 2009.

Marzo 2009 (foto Josephine Sassu)

Ciao Anna Rita,
ti ringrazio per la fotografia, è bello sapere che l'hai tenuta con te. Eravamo nello spazio del Palazzo della Provincia di Sassari dove c'è la collezione d'arte composta con partecipazione e lungimiranza da Pietrino Soddu durante la sua presidenza.
Mi piace in questa tua ultima lettera riscoprire l'attitudine a trovare i nessi, ultimamente ai curatori devo sempre dichiararli da subito, è raro trovare un'autentica capacità di indagine. Forse l'arte contemporanea pecca di ruotare intorno a poche parole chiave, senza attingere altrove che da se stessa...
I collegamenti quindi che hai già anticipato semplificano la risposta.

Cerco di guardare con lucidità quanto ho fatto in anni di ricerca, e reputo opportuno ritornare a dei concetti, dei modi e dei materiali che necessitano di un approfondimento o di richiami. Per me l'idea di un percorso è basilare, analizzo gli spazi pensando sempre con quale percorso il pubblico vedrà le opere, che è lo stesso percorso attraverso cui un ideale personaggio, scelto a simbolo nella mostra, ha osservato e usato le cose rimaste come traccia. Questo approccio è sicuramente legato all'avere iniziato con la performance, la centralità di una figura in movimento è la stessa che è poi diventata immagine fotografica, qualche volta una fotografia trovata, con un personaggio sconosciuto di cui ho voluto immaginare un cammino, in un paesaggio, in un'architettura o interiore.
Per me il percorso nel paesaggio è legato alla solitudine, immagino una persona abbandonata che osserva dal basso vette sublimi o scogliere irraggiungibili. Al contrario vedo nell'architettura un senso di accoglienza e, nella cultura che racconta, la base di una spiritualità laica.
La serie di opere in cui ho usato gli archi, che sono ovviamente dei percorsi, come è più palese in Caro a Nettuno, nascono dalla rilettura dei Principi architettonici di Wittkower e, come hai intuito, da un certo clima razionalista che conserva-va, come diceva Zevi, un po' di D'annunzio nel compasso. Non tanto Piacentini, piuttosto il Luigi Moretti che aveva realizzato un appartamento per il gerarca Ettore Muti nelle mura aureliane, un'alcova improbabile suddivisa da archi romani veri e tende da cinema muto (Muti-muto, non ci avevo pensato).
La pietra sospesa viene dal mare, è un elemento simbolico di tradizione massonica che allude ad una forma che aspira al miglioramento (che si contrappone alla forma pura della pietra levigata e dell'uovo). L'osservazione di questo elemento, incorniciato da un percorso tra gli archi che simula l'oscurità di una grotta, definisce un luogo sacro, d'ispirazione e rigenerazione (come è chiaramente il mare).
Barbara nella folla, l'altra opera che citi, è un mattone avvolto in un foulard, un'arma che ho immaginato scagliata da una donna in segno di protesta, una donna che si discosta dalla folla, e che ha un nome e un elemento che racconta la sua femminilità non avvilita dal lavoro. Credo crei una forte contrasto con il sasso di Caro a Nettuno, da una parte Milano, la coscienza di classe, l'autodeterminazione, dall'altra Alghero con il mare, il mito, la contemplazione... si possono unire questi caratteri per una società migliore?


Stefano Serusi. Barbara nella folla, 2012. Terracotta, seta, cm. 15x11,5x6.

Stefano Serusi. Loisir, 2013.  Veduta della mostra presso The Worbench, Milano



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