martedì 13 gennaio 2015

Corrispondenze - Giulia Sini 13/01/15

Cara Giulia,
l’annuncio ricerca di una traccia fotografica di “Santa, Vergine e Martire” sui social è partita.


Al momento solo due amici mi hanno risposto. Non hanno scattato nessuna foto, ma evidentemente hanno sentito la necessità di comunicarcelo. Lo reputo un buon segno. Infatti, mi pare che l’annuncio sia stato preso come uno scherzo, quindi approfitto per confermare che la richiesta di foto di “Santa, Vergine e Martire” non è uno scherzo. Qualcuno ha pensato che stessimo giocando a feisbuckare.
Ci vorrà tempo.
Sarebbe carino se venisse fuori qualche immagine.
E’ pur vero che erano gli anni Novanta, non c’era tutta questa follia di fotografare qualunque cosa, ma era pur sempre un' azione artistica, qualcuno curioso e voglioso di tenersi un ricordo ci deve essere pur stato, no?
In quegli anni attivasti parecchie collaborazioni. Mi ricordo maschere o comunque opere indossabili, collaborazioni teatrali. Mi è venuto in mente “Senza sentimento- Desolation Angle” un monologo di Alessandro Doro del 2002, che vidi al Borderline. Siccome non ero certa che la maschera fosse tua e non ricordavo assolutamente il titolo del monologo sono andata alla ricerca sul web e ho trovato una pagina del tuo antico sito. Appare sulla ricerca di google e lì ho trovato la risposta alla mia mancanza di memoria sul monologo di Alessandro.
Il sito antico a cui fai riferimento su fb è questo http://kijina.net “chiuso per ridipintura pareti”, vero?
Anche se “vecchiotto” non avrei cancellato i contenuti, lo avrei aggiornato con calma. Il web non si può più permettere di vivere in un eterno presente, è vecchio anche lui, ha una sua storia e va raccontata.
Il web si muove nel tempo, perché non farlo invecchiare? Non so, forse ragiono da analogica preistorica. Per me, avresti dovuto tenere i contenuti. Mi ricordo vidi, a suo tempo, il lavoro che facesti con “Specchio delle mie brame” di Josephine, a me era piaciuto.
Anche le opere digitali hanno il diritto di diventare vecchie.
Non essendo una esperta di faccende informatiche non capisco molto il mito del digitale sempre nuovo.
Una nuova disciplina da inventare può essere l’archeologia digitale. L’archeologia dei contenuti realizzati per il web sul web, che oggi appaiono desueti. Il digitale antico.

A.R.

Cara Anna Rita,
ho sentore che non troveremo immagini della Santa. In quegli anni si viaggiava ancora su pellicola e prima di scattare ci si pensava un po'. Non c'era lo stesso convulso pigiare il bottone della fotocamera digitale che adesso ci accompagna di continuo. Sono piccola di statura, e questo è un problema giusto quando si assiste a concerti e spettacoli, e per poche altre cose: ho sempre davanti qualcuno più alto di me, anche nella poltrona del teatro, sicchè approfitto del loro cellulare posizionato in alto nell'atto di registrare un video per guardare lo spettacolo attraverso il loro schermo. [Divagavo]. Ho più l'impressione che qualche perfetto sconosciuto di passaggio, magari qualche turista (era estate) abbia fatto foto generiche all'evento, inquadrando di tutto un po'. Non penso che riuscirò a vedermi com'ero vista da fuori. Ricordo com'era starci dentro, però. Comunque, chissà, magari qualcosa arriva.
 
creenshot
E cosa ritiriamo fuori dall'armadio delle vecchie stagioni? Nientemeno che Kijina. Effettivamente ricordavo di aver cancellato tutto, con l'intento di rifarlo, un giorno. Ci ho controllato dentro giusto oggi (dopo anni) e ho scoperto che la maggior parte delle cose è ancora lì, avevo solo cambiato i percorsi per rendere le parti irraggiungibili. Invece tu ci sei arrivata proprio attraverso una porcheriola, indicizzata da google, che avevo fatto al volo solo per mostrarla online a un tale che cercava un cartapestaio.
Kijina era un luogo senza struttura dove infilavo piccoli screen in movimento. Non lo usavo come portfolio professionale, non certo come facitrice di siti. Avevo imparato a usare Flash da sola, dopo aver iniziato a usare il computer che ero già bella grande. Fanno decisamente tenerezza. Allora ci gasava per un pallino che andava da una parte all'altra dello schermo, era magia. Adesso lo fai in due secondi in automatico. Me li sono riguardati tutti, e benchè sia un po' imbarazzante, ho deciso di ripristinarli per questa occasione come finestrella sul passato. Abbi la pietà di inquadrarli in quegli anni. Nemmeno le dimensioni sono le stesse, erano progettate per altri monitor e adesso sembrano minuscole. Puoi ingrandirle provvisoriamente usando i tasti Ctrl+ e Ctrl- : purtoppo non posso più agire sui file sorgenti per modificarle a monte. C'è, fastidiosissimo, il fatto che tutti i link si aprano in pagine nuove. Prima sembrava una cosa utile, al contrario. E se vedi una finestrella di flash che ti chiede se sei sicuro di voler aprire (o connettere, non ricordo), di' di sì, è solo un messaggio stravagante perchè il tutto funzionava su player di vecchia generazione.
Per arrivare al vecchio sito non passare per l'indirizzo principale: entra dalla porta di servizio all'indirizzo http://www.kijina.net/kijina_old
Noterai che avevo sviluppato anche una passione per i rumorini fastidiosi. Facevo anche dei piccoli loop musicali, da completa incompetente, e sui cd su cui li conservavo scrivevo a pennarellone "Digrascia Dj". Così, zuzzurellando.
In effetti collaboravo parecchio. Scambiavo, pubblicavo qua e là.
La mostra virtuale che tu ricordi, il cui titolo era "Intrometropie" invece, non era su Kijina. Avevo aperto uno spazio apposito, si chiamava Kronica, ma era su un sito gratuito e con gli anni è stato divorato. Ogni tanto gli cambiavano la parte iniziale dell'indirizzo. Un giorno ho provato a cercarlo di nuovo e non esisteva più in nessuna salsa. Cancellato.
Controllerò se i files che ho conservato sono ancora integri: magari posso pensare di fare un revival di qualche giorno, più avanti, e sistemarlo dentro kijina provvisoriamente. Era stato anche recensito, tu pensa. Progetto abbastanza fugace: l'idea era di fare una serie di progetti simili, a cadenze irregolari. Talmente irregolari che poi si è fermato. O magari la posso considerare come una pausa di dieci anni?
Quindi eccoti un po' di internet vintage da girellare.
Ti allego lo screenshot di una delle cose che ci troverai dentro. Per avere più visite e finire in alto nelle graduatorie dei motori di ricerca la gente infilava le keywords "porn, porn, porn" e similari anche in siti che col porno non c'entravano nulla. Volevo vedere se mi avrebbero stracliccato anche quella.
A presto,
G.



Cara Giulia,
di solito non rispondo immediatamente ad una lettera delle nostre “Corrispondenze”, ma questa nostra archeologia dell’immagine è per me una cosa seria, molto divertente.
Trovo che l’aver tirato fuori questi esperimenti digitali, oggi datati, sia un bel gioco di archeologia dell’immagine post industriale. Mostrarli nella loro genuina antichità, semplicità quasi ingenua, rispetto a ciò che si fa oggi con il computer, mi sembra un’operazione molto interessante. Tra l’altro sono molto belli.
Per ciò che riguarda la “Santa, Vergine e Martire”, credo che gli amici di FB non abbiano compreso che è una ricerca archeologica, partita dalla sottoscritta e assolutamente seria.
Pazienza, credo che si possano ricostruire gli avvenimenti anche con le parole, le fonti scritte su cui si sono costruiti i libri di storia ne sono un bell’esempio.
Considera questa lettera un p.s. post post.
Non è necessario che tu risponda.
Aspetta una prossima lettera con buona pace della “Santa”.
A.R.



Lettere:

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CONTEMPORANEAMENTE, 10 Giornata del Contemporaneo, 2014



giovedì 8 gennaio 2015

La numerosa famiglia di Niecéphore Niepce


Dopo la perdita della prima versione di “San Matteo e l’Angelo” di Caravaggio, la testimonianza fisica, -non solo per voce delle fonti scritte - che questo capolavoro è esistito appartiene ad una foto. Naturalmente non vale solo per questo dipinto, sono molte le opere di cui si studia a scuola, andate perdute. Di esse rimane il ricordo scritto di qualche testimone, leggende, racconti, copie realizzate in epoche successive, disegni, stampe.
Abbiamo il privilegio di vedere in assenza, alcune opere attraverso una foto.
La prima versione di “San Matteo e l’Angelo” di Caravaggio ha fatto parte per lungo tempo della collezione Giustiniani. Secondo Giovanni Baglione e Giovanni Pietro Bellori, fonti considerate attendibili per tutto il XX secolo, fu rifiutato dalla congregazione e sostituito da una seconda versione, quella esposta oggi nella Cappella Contarelli, in San Luigi dei Francesi. Questa versione dei fatti è oggi superata da studi approfonditi sul reale rapporto che intercorse tra Caravaggio e i committenti e, le motivazioni della sostituzione. La Pala venne, infatti, subito acquistata da Vincenzo Giustiniani, protettore di Caravaggio, finì nel 1815 a Berlino dopo la caduta in disgrazia della famiglia e la dispersione della collezione. Durante la Seconda Guerra Mondiale, venne trasferita nella Flaktürm Friedrichshain, assieme ad altri 417 capolavori tra cui Goya, Rubens, Friedrich.
Qui secondo le versioni ufficiali bruciarono altri tre Caravaggio di provenienza Giustiniani e proprietà prussiana: "Fillide", ritratto di una nota cortigiana, "Incredulità di San Tommaso" e "Cristo nel giardino degli ulivi". Ma forse, così non è.
L'"Incredulità di San Tommaso", che si credeva distrutto anch’esso nell' incendio del deposito di Flaktürm Friedrichshain,  era stato sequestrato dall' Armata Rossa e poi "trattenuto" come risarcimento per i danni di guerra. Anche "San Matteo e L’Angelo” può aver ha subito la stessa sorte. "Incredulità di San Tommaso" fu restituira dai russi alla DDR  negli anni Cinquanta. Oggi si trova alla Bildergalerie di Potsdam
Le Flaktürme di Berlino erano tre grandi complessi disposti a triangolo in tre zone strategiche della città: Berliner Zoo, Friedrichshain e Humboldthain. Data la loro straordinaria solidità e sicurezza, oltre che come rifugi antiaerei, le Flaktürme dello Zoo e Friedrichshain furono utilizzate per mettere al sicuro oggetti, sculture e dipinti provenienti dai musei Berlinesi. Nel maggio del 1945, a guerra di fatto finita, la Flakturm Friedrichshain subì per giorni un incendio devastante, la cui origine è ignota, che, si dice, distrusse quasi completamente le inestimabili opere che custodiva, compresa la prima versione del “San Matteo e l’angelo” di Caravaggio. O forse no.
Ciò che ci resta è, al momento, una foto in bianco e nero.
Conosco il capolavoro di Caravaggio perche sul manuale di storia dell'arte delle superiori c'era questa foto. La maggior parte delle opere che conosco le ho viste in fotografia. La fotografia sostituisce, quindi, emotivamente l'assenza di un'opera d'arte. 
Possedere l’immagine di un soggetto è dunque come possedere effettivamente quel soggetto?
Per un'opera d'arte vale lo stesso meccanismo sostitutivo di qualunque altro oggetto?
Non so. Propongo un frammento del saggio di Claudio Marra L’asse Rose/Duchamp[1]
Trascrivo l’inizio.
Un piccolo estratto illuminante.

“Naufragio del Titanic e salvataggio del realismo ingenuo.
<<Non ho nemmeno una sua foto, non ho niente di lui!>> dice Rose di Jack, ricordando a distanza il tragico naufragio del Titanic nell’ormai mitico film di James Cameron del 1997. La storia è certamente ben nota: Jack Dawson (interpretato da Leonardo Di Caprio) sale da clandestino di terza classe sull’imponente e lussuoso transatlantico che salpa per il viaggio inaugurale da Southampton, in Inghilterra, il 10 aprile 1912. A bordo conosce Rose De Witt Bukater (l’attrice Kate Winslet), aristocratica ragazza che viaggia in compagnia della famiglia e del promesso sposo nell’esclusiva prima classe, il cui biglietto costava, allora, 3100 dollari (equivalenti a circa 125.000 di oggi). Tra i due nasce un’amore impossibile e insieme bellissimo, destinato a finire tragicamente quando Jack, durante il naufragio, sacrificando la propria vita riesce a far salire Rose su una scialuppa di salvataggio prima di scomparire nelle acque scure e gelide dell’oceano.
Il film, come si sa, coincide con il lungo racconto che Rose, oramai avanti negli anni, fa ai tecnici di una nave speciale, che si sta occupando del recupero del relitto adagiato sul fondale al largo delle coste canadesi, alla profondità di 4000 metri. Quando Rose conclude la sua storia, le persone che hanno ascoltato incantate le vicende di quel tragico amore le fanno notare che fra i registri di bordo non hanno trovato traccia di Jack (ma Jack era appunto clandestino, dunque non registrato), nessun segno della sua presenza. Ecco allora che Rose risponde con la frase già riportata: <<Non ho nemmeno una sua foto, non ho niente di lui!>>; poche parole che però, se pure inconsapevolmente, esprimono un concetto straordinario di teoria fotografica. Si potrà infatti discutere fin che si vuole sulla vacuità dei simulacri, sulla loro perfida capacità di sostituirsi all’esperienza reale delle cose, ma nella nostra cultura permane altrettanto limpida e inscalfibile la convinzione che la fotografia riesca a sostituire generosamente l’assenza perché in fondo, più che un simulacro, più che l’ombra, essa pare essere (anzi, pare funzionare come, lo dichiareremo del corso del presente scritto) una reliquia, dunque non la rappresentazione ma una parte stessa della cosa. (...)”


Finché la "prima versione di San Matteo e l'Angelo" sarà una foto in bianco e nero, questo sarà ciò che riconosco come "prima versione di San Matteo e l'Angelo".

A.R.C.

 [1] Claudio Marra, L’immagine infedele, la falsa rivoluzione della fotografia, Bruno Mondadori, Milano, 2006, pp.157-159.


mercoledì 7 gennaio 2015

Conversazione con Giovanni Da Monreale/ Artista - Azioni urbane

8, anima in ferro, vetroresina,
pittura alla glicerina, 2014, Pietrasanta, (LU) dettaglio
Prima di Natale vengo a conoscenza, attraverso un' informazione generica, che accanto alla scuola primaria, in Borgo Cappuccini a Livorno, è stata collocata un’installazione raffigurante un bambino . Vado a curiosare. Accanto alla scultura c’è un cartello con indirizzo internet: www.giovannidamonreale.com.
Ho dei dubbio. Di solito gli interventi di questo tipo sono anonimi. Visito il sito. L’artista ha già realizzato interventi a Torino, Lucca e Pietrasanta. Decido di contattarlo. Mi risponde. Ci diamo un appuntamento nella piazza di Pietrasanta. 
Incontro così Giovanni Da Monreale.
Formazione accademica e una lunga esperienza professionale nei laboratori di Pietrasanta e Carrara. Attivo dal 2013 con un progetto di azione urbana, dove la strada è come un palcoscenico e le sculture interagiscono con l'ambiente circostante, compresi i passanti che inconsapevolmente diventano attori. 
I luoghi scelti per l’intervento sono giardini pubblici, fermate dell’autobus e di recente spazi adiacenti le scuole primarie.
Non sono molti gli street artist che si cimentano con la scultura, la stragrande maggioranza utilizzano stensil, sticker, poster e il classico pittura murale. L'operazione di Da Monreale ricorda per molti aspetti quella dello statunitense Mark Jenkins. L’aspetto più interessante di questa operazione di arte urbana è legato alla regolamentazione dello spazio pubblico e l'accettazione dell'azione da parte della comunità. 
Sarà che ha invaso uno spazio tridimensionale, il realismo è più evidente, i soggetti sono bambini ma rispetto all'intervento murale, suscita reazioni, sia in positivo che in negativo, molto più emotive ed immediate. 

A.R.C. – Come è nato questo progetto?
8, anima in ferro, vetroresina,
pittura alla glicerina, 2014, Pietrasanta, (LU), dettaglio
G.D.M. – Da quando ho finito l’Accademia ho lavorato molto, ho collaborato con molti artisti.
Di idee di intervento urbano in testa ne avevo tante, ma non ne avevo ancora realizzate.
Il primo è nato casualmente. Passavo con la bicicletta davanti a questa fermata dell’autobus è ho immaginato un bambino seduto lì che giocava con un videogioco. Era il marzo 2013.

A.R.C. – Raccontami come sono andate le cose.
G.D.M. – Il primo recupero di periferia urbana l’ho realizzato qui a Pietrasanta. E’ durato una settimana. Era semplicemente in vetro resina, vuota, fissata con del mastice. Ora le realizzo con un anima in ferro interna fissata con dei bulloni, sono più stabili. Del resto i vandali ci sono, ne ho tenuto conto.
In questi anni ho affinato la tecnica, la conoscenza tecnica è molto importante.
Poi ho deciso che dovevo iniziare questo lavoro di recupero urbano. Era arrivato il mio turno di dire qualcosa. Ho realizzato dei bozzetti, poi la scultura definitiva. La prima scultura l’ho sistemata, come ti ho detto, alla fermata dell’autobus, e ha attirato subito l’attenzione di tutti.
In quell’occasione, mi sono reso conto che bisogna stare molto attenti a installare le sculture, provocano incidenti: ho visto persone fermasi di colpo e frenare, macchine (di notte) con le quattro frecce, incuriositi nel vedere un bambino alla fermata dell’autobus, che gioca ai video giochi in un orario inappropriato.
Però di giorno ho visto nonni portare i bambini a vedere la scultura. Altri che la volevano distruggere e, infatti, così è stato. La prima, come ti ho detto, è durata una settimana.

Games, anima in ferro, vetroresina,
pittura alla glicerina, 2013, Lucca
A.R.C. – Hai realizzato interventi urbani plastici in varie città. A Lucca ho notato una sorta di familiarità da parte delle persone che frequentano giardini nei quali hai inserito il lavoro. Ho visto alcune persone sedute sulla panchina accanto alla scultura, con molta tranquillità. A Lucca il progetto è stato accolto molto bene?
G.D.M. – Sono due e sono entrambe integre. Quelle di Lucca sono rimaste integre perché strutturate in ferro. Sì, anch’io ho visto dei vecchietti seduti accanto, sembravano nonno e nipote. Qualcuno c’ha scritto sopra con il pennarello, ma fa parte del gioco.
Ma, anche qui a Pietrasanta, questa nuova, la seconda che ho realizzato, è percepita diversamente, vedo persone che si fermano, bambini che ci giocano attorno. Perché qui c’è la scuola.

Games,vetroresina,
pittura alla glicerina, 2013, Pietrasanta, (LU)
(distrutto)
A.R.C. – Questo secondo intervento a Pietrasanta e quello di Livorno, sono entrambi vicino alle scuole. I bambini che ritrai sono sempre soli e hanno la testa bassa, rivolta al videogioco. Sei passato dalle fermate dell’autobus, ai giardini, alle scuole, perché?
G.D.M. – Recupero urbano, recupero dell’infanzia, del gioco. Qui ci sono i bambini, i protagonisti del progetto. Tutti i bambini delle mie sculture giocano con i video giochi. Sai, il livello di miopia dagli anni Settanta ad oggi è aumentato per i bambini dal 20% al 40%. Mi interessa questo aspetto del gioco e del danno del videogioco. Questa seconda scultura l'ho installata nel dodicesimo anniversario del mio arrivo a Pietrasanta.

A.R.C. –Per l'appunto, mi dicevi che sei di Palermo. Raccontami del tuo arrivo a Pietrasanta.
G.D.M. – Dopo l’Istituto d’Arte, ho deciso che dovevo imparare ancora. Non ci sono molti laboratori a Palermo, quindi sono venuto qui a Carrara all’Accademia, contemporaneamente avevo la possibilità di lavorare in un laboratorio di scultura a Pietrasanta, quindi studiavo e lavoravo. Ho sempre lavorato nei laboratori, per imparare, soprattutto. Finita l’Accademia ho continuato per anni a lavorare, ho collaborato con centinaia di artisti.

A.R.C. – Quali sono i materiali che prediligi?
G.D.M. – Tutti. Lavoro molto bene con il metallo, la creta. Per questi lavori, ad esempio, il vetroresina è perfetto. E’ leggero, resistente, lo puoi dipingere con qualunque tipo di colore. Uso i colori alla nitroglicerina, ci sono tutte le gamme cromatiche. E’ pratica e poco costosa. Lavoro molto la creta.
Questo è un lavoro che prevede un primo passaggio in creta, poi lo stampo in gomma e infine la resina.
L’anima interna è in metallo saldato, inserita nel suolo pubblico, con quattro bulloni.

8, anima in ferro, vetroresina,
pittura alla glicerina, 2014, Livorno, dettaglio
A.R.C. –La maggior parte dei tuoi interventi sono in questa zona Pietrasanta, Lucca e Livorno poi c’è Torino. Raccontami un po’.
G.D.M. – A Torino c’ho vissuto quattro mesi. Sono partito con la mia equipe e abbiamo piazzato la scultura. Purtroppo anche in quella non c’era abbastanza ferro e l’hanno distrutta.
L’esperienza di Torino è interessante: mi ha contattato il comune e mi ha fatto una proposta di donazione.
Per donare una scultura al comune di Torino devi intanto avere l’avvallo di una giuria, se la passi, firmare un contratto a spese tue, certificato di idoneità statica a spese dell’artista, per i primi dieci anni le spese di manutenzione e restauro sono a spese dell’artista, altrimenti c’è una multa, infine i diritti dell’opera sono totalmente del Comune.
La multa per l’utilizzo abusivo del suolo pubblico è 140 euro. Preferisco la multa per l’uso abusivo del suolo pubblico. Del resto opero in aree non valorizzate, lasciate all’incuria.

8, anima in ferro, vetroresina,
pittura alla glicerina, 2014, Livorno
A.R.C. – Penso che un artista non debba donare al Comune. Piuttosto condividere il suo lavoro con la comunità, se ritiene che questo abbia un senso e, la comunità a suo modo restituire all’artista, deve essere un circolo virtuoso, uno scambio. Non credi? Il Comune come entità amministrativa è un’altra cosa.
G.D.M. – Eh Eh sì, ma il Comune è quello che manda i vigili…

A.R.C. – Come è nato “8”, poteva essere più piccolo o più grande, perche otto anni?
G.D.M. – Il mio progetto riguardava le scuole elementari, l’idea di un “recupero”. Otto era l’età giusta e 8 è un bel numero, è l’infinito.
Ho fatto degli schizzi, poi ho cercato dei modelli, dei bambini di otto anni, ne ho trovato uno che ha fatto da modello. Ho fatto delle foto con vestiti diversi, le scarpe le ho modificate. Li modifico a seconda dell’esigenza. Questo l’ho immaginato poggiato al muro, la posizione è statica. Il bambino seduto prevede più modifiche rispetto alla seduta, questo è più stabile.

A.R.C. – Questi sono i tuoi primi interventi pubblici? Come è nata l’esigenza di uscire dallo studio?
Games, vetroresina,
pittura alla glicerina, 2013, Torino,
(distrutto)
G.D.M. – E’ difficile fare l’artista in Italia, ho girato da per tutto, ho conosciuto tantissimi artisti, galleristi. E’ difficile. Qui, hanno chiuso l’arte dentro le mura. L’arte deve cominciare ad uscire fuori. Non avevo più voglia di stare chiuso dentro le mura e sono uscito fuori.
Dato che non mi danno il permesso, lo faccio senza, prendendomi le mie responsabilità. Il fatto che sono sculture, molto realistiche attirano molto l’attenzione, più di uno stencil, perché sono tridimensionali. Io faccio degli specchi, sono specchi della società. Il bambino con il videogioco non l’ho inventato io.

8, anima in ferro, vetroresina,
pittura alla glicerina, 2013, Lucca

A.R.C. – I tuoi lavori precedenti affrontavano lo stesso tipo di tematiche?
G.D.M. – In passato mi ha interessato molto la montagna scavata, ho lavora ad un progetto che si chiamava Allegoria delle Apuane. Ma, la prima ragazza con il cellulare è del 2002, poi ci sono gli animali che guardano la tv. Ho sempre realizzato lavori sul rapporto con la tecnologia.

A.R.C. – Quali sono i prossimo progetti?
Il prossimo posto che ho adocchiato da circa sei o sette mesi è adatto per gli ultimi lavori. Gli ultimi lavori superano l’infanzia, uno dei prossimi progetti sarà “15”, ragazzine di quindici anni con il cellulare, sedute sul marciapiede. Ho già programmato una decina di nuovi bliz.

A.R.C. – Come trovi i luoghi?
G.D.M. – Prima di tutto guardo la mappa della città, anche a Livorno ho visto le scuole su Google maps, poi vado in sopraluogo. Faccio le foto, prendo le misure, verifico la stabilità del muro, il livello del pavimento, insomma un sopraluogo tecnico.
8, anima in ferro, vetroresina,
pittura alla glicerina, 2014, Livorno
Per Livorno ho preso il treno, mi sono caricato la bicicletta e ho girato per la città. Ho visto le scuole, e quella di via Bini, era tra l’altro la prima che avevo visto, mi piaceva. La zona mi piaceva, il quartiere ha aree fatiscenti, quindi ho pensato di piazzarla lì. La scelta del luogo è poi legata alle difficoltà tecniche. Ad esempio, qui a Pietrasanta il problema era fare dei buchi sulla parete di una casa privata, che poi è stato superato, perché mi è stato approvato.
L’ultima fase è organizzare l’equipe.

A.R.C.- Non lavori da solo, hai una gruppo?
G.D.M. – Ho un assistente per sistemare la scultura, un fotografo, uno che fa il video, poi chi vuole venire può seguirci, a volte ci sono anche dei giornalisti.

A.R.C. – Alla prossima incursione fammi sapere, mi piacerebbe esserci. Comunque sapere come ti sposti, dove, seguire l’evolversi del progetto.
G.D.M. – Sì, certo l’intenzione adesso e spostarmi dalla Toscana. L’idea è quella di muovermi in tutt’Italia.

A.R.C.

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Il caso Giovanni da Monreale

venerdì 2 gennaio 2015

Corrispondenze - Stefano Serusi 02/01/15

Caro Stefano,
dopo la pausa natalizia eccomi ancora qui.
Ritornando agli argomento con cui ci siamo lasciati, posso dire che la stazione ferroviaria di Tempio è un piccolo gioiello, nei decori e e nelle strutture lignee.
Biasi ha sicuramente dato prova di essere perfettamente nel suo tempo, in buona pace di chi insegue sempre il luogo comune dell’ultima nuova invenzione e polemizza su attardamenti e vecchiume.
C’è ben altro vecchiume nelle nuove accademie, alcuni ritrattisti resteranno nella cronaca certamente, ma a quale scopo intellettuale?

Tempio, Stazione ferroviaria. Telegrafo e Biglietti.
Il tuo riferimento alla Maestà di Lippo Memmi mi permette una connessione con suo cognato Simone Martini e, a delle mie passioni personali. Penso a Guido Riccio da Fogliano e alle tracce lasciate sulla parete dal distrutto mappamondo di Ambrogio Lorenzetti, alla sfortuna per una mancata visione pulita e coerente, e alla Maestà del Palazzo Pubblico, al palazzo stesso.
Uno degli aspetti che più mi colpisce di certi case e palazzi del Duecento e Trecento, riguarda l’essere riusciti a mantenere una certa sobrietà provinciale, aver resistito al Rinascimento ridondante, carnoso del Cinquecento fiorentino o romano. Quando ritrovo intatto, o quasi, il Medioevo rimango stupita e affascinata, felice che enormi natiche, capelli al vento, muscoli poderosi non abbiano corrotto eleganti vesti decorate, angeli che sembrano usciti da una stampa giapponese, Madonne simili a divinità indiane con gli occhi a mandorla. Ti mando due foto del trecentesco fiorentino Palazzo Davanzati, musealizzato da più di mezzo secolo, con tuti i limiti dell’invenzione. Purtroppo, le mie foto non rendono la pulita bellezza dell’architetture e dei decori, non quando vederli dal vivo.
Agli artisti e poeti di quel tempo, soprattutto ai senesi e sicuramente a se stesso, vent’anni fa Mario Luzi ha dedicato un poema bellissimo Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini.
Nel poema Simone Martini ritorna - accompagnato da suo fratello Donato, la moglie di lui Giovanna e sua moglie, Giovanna anche lei, sorella di Lippo Memmi - nel suo ultimo viaggio a Siena da Avignone, dopo un itinerario che l’ha condotto a conoscere la nuova arte, quella fiorentina specialmente, che proponeva una dimensione potente e diversa dalla pittura sottilissima e luminosamente raffinata, che è propria dell’arte senese del Trecento. Simone sente la necessità di portare a sintesi il rapporto tra l’arte e l’artista, fra la terra e il cielo, le parole e il silenzio, tra ciò che si è detto ( dipinto e scritto) e ciò che invece rimane inesprimibile. Simone Martini e Luzi coincidono e si confondono nel travaglio.
Ecco ti propongo due poesie tra quelle che più di altre pongono al centro l’atto materiale del dipingere e i mediocri incidenti del quotidiano, la magnificenza del soggetto e della pittura, e le debolezze della modella: Giovanna.

Ma ora s’ammanta
di tutto l’azzurro
lei, fanciulla. S’introna, s’inaugusta
di limpida maestà.
                                  Subito
a lei s’affronta
ma da più alto luogo,
alata, una figura.
E’ l’angelo, è l’annunzio.
S’incendia l’aria il visibile.
                    Giovanna nella calura si assopisce.
Oh lui dipingerà: dopo, nel tempo giusto.


Giovanna accovacciata
                                       nella pausa
Sotto il masso, con gli occhi
al suo già lungo tempo, sembra, fissi,
ad un corso tortuoso
di riviera a fondovalle
o tesi ad annullarlo il tempo
e il luogo, e ogni fine possibile cominciamento.
La include, presagisce, in sé quell’attimo,
la ingemma nella mandorla di un perpetuante mito...

in Mario Luzi, “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, Garzanti, Milano,1994


Firenze, Palazzo Davanzati
Accenno appena all’argomento su Gramsci. Penso che ci torneremo. Mi hai dato l’occasione di rileggere alcune pagine del quaderno 13 e, mi fa molto piacere sapere che stai lavorando all’ipotesi che “un ragazzo è trasfigurato - o spera di esserlo - dalla lettura di questo quaderno”.

Mi pare che questo sia comunque per te un lavoro che ha radici più lontane, anche se il “principe” che ritraevi qualche anno fa aveva tutt’altra accezione. Forse sovrappongo ricordi, c’è un tuo lavoro sulla follia del “principe”, poi leggo le pagine sul Principe di Macchiavelli di Gramsci e si va in tutt’altra direzione: “Il Principe prende il posto, nelle coscienze, delle divinità e dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume.”
Mi piacerebbe approfondire.
A.R.




Ciao Anna Rita,
ti devo dire che anche io amo quegli ambienti un po' severi, e quando visito certi palazzi mi chiedo proprio come te quale possa essere stata l'impressione di chi li ha abitati nei secoli successivi. Credo si possa trovare nella loro frugalità uno stile profondamente italiano, del resto anche l'architettura di Bramante o di un certo Palladio ai contemporanei poteva sembrare spoglia, e lo era proprio perché nasceva da quella romana antica spogliata, appunto, da furti e riusi, dei suoi ornamenti più preziosi. Anche il Palazzo Ducale ad Urbino mantiene questo senso di misura, e certe sale disadorne fanno pensare all'uso raro e cerimoniale degli arazzi.
Il discorso sul laicismo nel quaderno 13 - più che altrove - è strettamente legato a Machiavelli, che riferiva la necessità per il Principe di attenersi formalmente alla religione del suo popolo, mentre Gramsci propone che lo Stato stesso plasmi organicamente la propria religione civile, con un immaginario e degli ideali propri, quindi non presi in prestito da un credo secolarizzato allo scopo.
Il mio progetto del 2008, che si intitolava Wintergarten, non riguardava la nevrosi del potere, si riferiva al contrario a personaggi inermi come Enrico IV di Pirandello, un malato che crede di essere un re medievale, per il quale la sorella devota ha fatto costruire una scenografia ed una corte fasulla, una cura contrapposta a quella propriamente ospedaliera, da me rappresentata dall'omologazione delle piante all'interno di una serra.
In questo senso posso dire che Wintergarten e il mio progetto attuale sul "nuovo Principe" siano speculari, c'è il pretesto per rileggere il mondo attraverso forme da sovrapporre o accostare a quelle esistenti, tra l'altro con un simbolo in comune, la corona: da una parte quella consolatoria data al folle, dall'altra la corona d'alloro del letterato, dell'eroe. Il Principe gramsciano, a scanso di equivoci, non è più un singolo ma un partito.Tra un paio di settimane ti potrò mostrare qualcosa di più.
A proposito della costruzione di un immaginario che possa condizionare dei comportamenti, da un po' di tempo faccio confluire il mio archivio su questo tema in un blog che prende il nome da un principe etrusco, Vel Saties (http://velsaties.blogspot.it/).

Wintergarten, 2008. Stampa su carta blue back, ferro e vetro reticolare, dim. ambiente.

Stefano Serusi. Wintergarten, 2008. Stendardi in lana da coperte ospedaliere, dimensione ambiente.