Dopo la perdita della prima versione di “San Matteo e l’Angelo” di
Caravaggio, la testimonianza fisica, -non solo per voce delle fonti scritte - che questo capolavoro è
esistito appartiene ad una foto.
Naturalmente non vale solo per questo dipinto, sono molte le opere di cui si studia a scuola, andate perdute. Di esse rimane il ricordo scritto di qualche
testimone, leggende, racconti, copie realizzate in epoche successive, disegni,
stampe.
Abbiamo il privilegio di vedere
in assenza, alcune opere attraverso una foto.
La prima versione di “San Matteo e l’Angelo” di Caravaggio ha fatto parte per
lungo tempo della collezione Giustiniani. Secondo Giovanni Baglione e Giovanni
Pietro Bellori, fonti considerate attendibili per tutto il XX secolo, fu
rifiutato dalla congregazione e sostituito da una seconda versione, quella
esposta oggi nella Cappella Contarelli,
in San Luigi dei Francesi. Questa versione dei fatti è oggi superata da
studi approfonditi sul reale rapporto che intercorse tra Caravaggio e i
committenti e, le motivazioni della sostituzione. La Pala venne, infatti,
subito acquistata da Vincenzo
Giustiniani, protettore di Caravaggio, finì nel 1815 a Berlino dopo la caduta in
disgrazia della famiglia e la dispersione della collezione. Durante la Seconda
Guerra Mondiale, venne trasferita nella Flaktürm Friedrichshain, assieme ad
altri 417 capolavori tra cui Goya, Rubens, Friedrich.
Qui secondo le versioni ufficiali bruciarono altri tre Caravaggio di provenienza Giustiniani e proprietà prussiana: "Fillide", ritratto di una nota cortigiana, "Incredulità di San Tommaso" e "Cristo nel giardino degli ulivi". Ma forse, così non è.
L'"Incredulità di San Tommaso", che si credeva distrutto anch’esso nell' incendio del deposito di Flaktürm Friedrichshain, era stato sequestrato dall' Armata Rossa e poi "trattenuto" come risarcimento per i danni di guerra. Anche "San Matteo e L’Angelo” può aver ha subito la stessa sorte. "Incredulità di San Tommaso" fu restituira dai russi alla DDR negli anni Cinquanta. Oggi si trova alla Bildergalerie di Potsdam.
Le Flaktürme di Berlino erano tre grandi complessi disposti a triangolo in tre zone strategiche della città: Berliner Zoo, Friedrichshain e Humboldthain. Data la loro straordinaria solidità e sicurezza, oltre che come rifugi antiaerei, le Flaktürme dello Zoo e Friedrichshain furono utilizzate per mettere al sicuro oggetti, sculture e dipinti provenienti dai musei Berlinesi. Nel maggio del 1945, a guerra di fatto finita, la Flakturm Friedrichshain subì per giorni un incendio devastante, la cui origine è ignota, che, si dice, distrusse quasi completamente le inestimabili opere che custodiva, compresa la prima versione del “San Matteo e l’angelo” di Caravaggio. O forse no.
Qui secondo le versioni ufficiali bruciarono altri tre Caravaggio di provenienza Giustiniani e proprietà prussiana: "Fillide", ritratto di una nota cortigiana, "Incredulità di San Tommaso" e "Cristo nel giardino degli ulivi". Ma forse, così non è.
L'"Incredulità di San Tommaso", che si credeva distrutto anch’esso nell' incendio del deposito di Flaktürm Friedrichshain, era stato sequestrato dall' Armata Rossa e poi "trattenuto" come risarcimento per i danni di guerra. Anche "San Matteo e L’Angelo” può aver ha subito la stessa sorte. "Incredulità di San Tommaso" fu restituira dai russi alla DDR negli anni Cinquanta. Oggi si trova alla Bildergalerie di Potsdam.
Le Flaktürme di Berlino erano tre grandi complessi disposti a triangolo in tre zone strategiche della città: Berliner Zoo, Friedrichshain e Humboldthain. Data la loro straordinaria solidità e sicurezza, oltre che come rifugi antiaerei, le Flaktürme dello Zoo e Friedrichshain furono utilizzate per mettere al sicuro oggetti, sculture e dipinti provenienti dai musei Berlinesi. Nel maggio del 1945, a guerra di fatto finita, la Flakturm Friedrichshain subì per giorni un incendio devastante, la cui origine è ignota, che, si dice, distrusse quasi completamente le inestimabili opere che custodiva, compresa la prima versione del “San Matteo e l’angelo” di Caravaggio. O forse no.
Ciò che ci resta è, al momento, una foto in bianco e nero.
Possedere l’immagine di un soggetto è dunque come possedere
effettivamente quel soggetto?
Per un'opera d'arte vale lo stesso meccanismo sostitutivo di qualunque
altro oggetto?
Non so. Propongo un frammento del saggio di Claudio Marra L’asse Rose/Duchamp[1]
Trascrivo l’inizio.
Un piccolo estratto illuminante.
Un piccolo estratto illuminante.
“Naufragio del Titanic e salvataggio del
realismo ingenuo.
<<Non ho nemmeno una sua foto, non ho
niente di lui!>> dice Rose di Jack, ricordando a distanza il tragico
naufragio del Titanic nell’ormai mitico film di James Cameron del 1997. La
storia è certamente ben nota: Jack Dawson (interpretato da Leonardo Di Caprio)
sale da clandestino di terza classe sull’imponente e lussuoso transatlantico
che salpa per il viaggio inaugurale da Southampton, in Inghilterra, il 10
aprile 1912. A bordo conosce Rose De Witt Bukater (l’attrice Kate Winslet),
aristocratica ragazza che viaggia in compagnia della famiglia e del promesso
sposo nell’esclusiva prima classe, il cui biglietto costava, allora, 3100 dollari
(equivalenti a circa 125.000 di oggi). Tra i due nasce un’amore impossibile e
insieme bellissimo, destinato a finire tragicamente quando Jack, durante il
naufragio, sacrificando la propria vita riesce a far salire Rose su una
scialuppa di salvataggio prima di scomparire nelle acque scure e gelide
dell’oceano.
Il film, come si sa, coincide con il lungo
racconto che Rose, oramai avanti negli anni, fa ai tecnici di una nave
speciale, che si sta occupando del recupero del relitto adagiato sul fondale al
largo delle coste canadesi, alla profondità di 4000 metri. Quando Rose conclude
la sua storia, le persone che hanno ascoltato incantate le vicende di quel
tragico amore le fanno notare che fra i registri di bordo non hanno trovato
traccia di Jack (ma Jack era appunto clandestino, dunque non registrato),
nessun segno della sua presenza. Ecco allora che Rose risponde con la frase già
riportata: <<Non ho nemmeno una sua foto, non ho niente di lui!>>;
poche parole che però, se pure inconsapevolmente, esprimono un concetto
straordinario di teoria fotografica. Si potrà infatti discutere fin che si
vuole sulla vacuità dei simulacri, sulla loro perfida capacità di sostituirsi
all’esperienza reale delle cose, ma nella nostra cultura permane altrettanto
limpida e inscalfibile la convinzione che la fotografia riesca a sostituire
generosamente l’assenza perché in fondo, più che un simulacro, più che l’ombra,
essa pare essere (anzi, pare funzionare come, lo dichiareremo del corso del
presente scritto) una reliquia, dunque non la rappresentazione ma una parte
stessa della cosa. (...)”
Finché la "prima versione di San Matteo e
l'Angelo" sarà una foto in bianco e nero, questo sarà ciò che riconosco
come "prima versione di San Matteo e l'Angelo".
A.R.C.
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