venerdì 22 maggio 2015

Josephine Sassu

RAREFATTO
















REALMENTE – QUALCUNO C’E’ STATO, QUALCUNO L’HA VISTO

Le azioni performative degli artisti invitati a questo progetto sono state eseguite a partire da alcune riflessioni sui concetti di <<adesso>> e <<qui>>, in relazione a luogo e tempo che su internet non coincidono con quelli dello spettatore.
 
Il secondo appuntamento della trilogia è Rarefatto di Josephine Sassu, un'azione relazionale a distanza che connette passato e futuro.
 
Nel mondo delle particelle, gli elettroni son reali quando interagiscono con qualcos'altro: è il «salto quantico».
Rarefatto, come l'elettrone, esiste nell'interazione con qualcun'altro, il «salto sul blog» è il suo modo per essere visibile, essere reale.






© Foto Giusy Calia
 


Rarefatto - Josephine Sassu:
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Realmente - qualcuno c'è stato, qualcuno l'ha visto:
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giovedì 14 maggio 2015

Conversazione con Sabrina Muzi/ Artista. Oriente e Occidente, sacro e profano

Seconda parte



Questa seconda parte della nostra conversazione riguarda alcuni progetti di residenza in Cina e Sud Est Asiatico. 
Il primo incontro con la Cina  risale al 1992 in occasione di una delle prime mostre di artisti occidentali dopo l'apertura di Deng Xiao Ping. 
Nel 2007 segue l'invito ad un  programma internazionale di residenza “IASK-Changdong Art Studio” del Museo d’Arte Contemporanea di Seoul, nel 2010 una residenza al “943 Studio Residency Program” a Kunming, Yunnan, Cina e nel 2013 è stata scelta per la Fellowship Taipei Art Residency, a Taiwan. 
Gli aspetti di sacro e profano, le allusioni a simbologie più proprie dell’Occidente, la vita sociale, le cerimonie si mescolano in progetti la cui lettura si fa sempre più complessa e stratificata.





Ceremony, installazione, funghi Mu -Err, 2013
A.R.C. Hai avuto la possibilità di cogliere aspetti molto diversi dell’Oriente. Raccontami un po’ di queste residenze.
S.M. Sono state sempre belle esperienze, di vita oltre che per la mia ricerca. Si conoscono artisti di altre parti del mondo, e vedi anche un po’ come funzionano le cose. Per esempio gli artisti stranieri si muovono molto più di noi, che invece siamo più stanziali. Il fatto è che spesso riescono a ricevere finanziamenti per viaggiare, mentre qui non c’è questa possibilità, se non in rarissime eccezioni, questo rende tutto più problematico perché si hanno poche possibilità di confrontarsi con il resto del mondo. Ti racconto dell’ultima residenza a Taipei. Taiwan è molto particolare, anche rispetto alla Cina. Una parte della popolazione vorrebbe tornare con la Cina, che è una grande potenza economica e a loro conviene, però hanno molto della cultura occidentale. Questo l’ho trovato molto interessante, ti sentivi in Oriente ma anche un po’ a casa tua. La cosa che mi ha affascinato, che affascina gli stranieri in generale, delle città orientali sono i mercati, alcuni aperti fino ad ore molto tarde. Percepisci la globalizzazione del mercato, ma puoi trovare anche tutto ciò che è locale.

A.R.C. Mi pare di capire che questa a Taiwan, tra le esperienze in Oriente, è quella che ti ha intrigato di più. Come è nata?
Ceremony, installazione, noodles, 2013
S.M. Ho fatto un’ application e si doveva mandare un progetto.
Avevo da un po’ l’idea di fare un lavoro sui mercati, dove trovi di tutto. Taiwan è una piccola isola, quella che conosciamo come Formosa, ma ha una storia passata densa di occupazioni, occidentali e orientali, portoghesi, olandesi, cinesi, giapponesi.
La cultura principale è cinese, ma c’è anche quella originale taiwanese, in alcune parti dell’isola ci sono gli aborigeni, poi c’è l’influenza giapponese, e anche americana. 
Quindi una cultura composita che rende Taipei, la capitale, una città moderna e molto viva. Qui ci sono molti mercati chiamati Night & Day Market, quindi diurni e notturni, e sono sparsi in varie zone della città. 
Pieni di gente, sempre. Tu hai la piantina con tutti questi mercati, una sera vai da una parte, una sera vai dall’altra. Me li sono girati un po’ tutti. C’è di tutto, dal cibo locale ai vestiti, ai giochini elettronici, alle musiche buddiste. La cosa interessante e che in ogni mercato c’è un tempio buddista, fisso perché già c’era o allestito per l’occasione. Senti le voci dei venditori mischiate alle musiche dei giochini elettronici, alle suonerie dei cellulari ai canti provenienti dal tempio, un vero caos. E non è solo uditivo ma anche visivo. A fianco ai pezzi di carne appesa e ai fumi dei cibi, magari ci trovi i vestiti appesi, oppure le cose che vendono come offerta al tempio, e così via. Ho quindi fatto questo progetto che si chiama Ceremony.

A.R.C. Un progetto sul mercato. Raccontami.

Ceremony, installazione, castagne d'acqua, 2013
S.M. Ceremony ha a che fare con questa mescolanza orientale, del sacro e profano insieme. La gente che mangia, il tempio, le musiche sacre registrate, i videogiochi.
Ho messo insieme vari materiali provenienti dal mercato. L’idea di tutta la mostra era quella di rendere qualcosa di festoso, la cerimonia e la festa del mercato, l’aspetto pagano unito all’ idea di cerimonia religiosa. Ho realizzato cinque installazioni, una grande e le altre più piccole. L’installazione principale era alta quattro metri, realizzata con noodles, chiamiamoli spaghetti cinesi/taiwanesi, che mi sono fatta fare appositamente di quella lunghezza. A parte, di questi ho poi fatto dei nodi, quelli tipici cinesi, che sono molti belli, hanno significati scaramantici e spirituali. Il risultato una pioggia di spaghetti. Poi ho realizzato una collana con le castagne d’acqua, che hanno una forma incredibile simile alla testa di un toro, un immagine simbolica molto forte. La collana era appesa al muro, mentre a terra c’erano due isolette di funghi, “orecchie di Giuda” in lingua cinese funghi Mu-Err. Erano installazioni sonore. Sotto questi tappeti di funghi ho messo dei mini altoparlanti, che diffondevano un montaggio mixato e alternato di voci e suoni del mercato e altri che ho registrato alle quattro del mattino durante una cerimonia buddista. Infine in alto un’installazione appesa realizzata con vestiti annodati tra loro. Più che oggetti inanimati come gli abiti ricordavano forme organiche, un po’ come le carni del mercato. L’ultima installazione è una catena realizzata con semi di fiori di loto.

Ceremony, installazione, abiti, 2013
A.R.C. Hai  portato avanti quelle che sono le tue tematiche principali. Forse un aspetto nuovo, che è tipico del mercato, è il rapporto con l’altro, nella confusione dei luoghi densamente popolati.
S.M. Sì, il rapporto con l’altro in questi luoghi è moltiplicato e si confonde in un tutt’uno. Ma ho concentrato anche l’attenzione sulla simbologia. Ad esempio i funghi Mu-Err hanno questa strana forma che ricorda delle orecchie, le castagne d’acqua una protome taurina e infine i fiori di loto una esplicita simbologia buddista. Tutti questi elementi sono comunque commestibili, anche il fiore di loto, lo usano da mettere nelle zuppe.



Let me dance, foto, 32x23 cm, 2010
A.R.C. In cosa si è concretizzata la residenza nello Yunnan? E’ stata altrettanto coinvolgente?
S.M. Ho realizzato delle fotografie, una serie di tronchi d’albero legati con corda di bambù, che sembrano muoversi a ritmo di danza. Il titolo è Let me dance. A Kunming si vedevano spesso strade con queste file di alberi e anche nel viale dove svolgevo la residenza, alberi che ad una certa altezza avevano avvolta nel tronco una corda di bambù. Ho chiesto di che cosa si trattava, mi hanno detto che è una manutenzione che fa il comune per proteggere la pianta dagli animali, o per indirizzare la crescita. Visivamente mi piacevano molto perché ricordavano dei corpi.

A.R.C. Questo aspetto della protezione è un concetto che si ritrova spesso nel tuo lavoro.
Let me dance, serie 13 foto, 32x23 cm, 2010
S.M. Sì, è vero e infatti mi ha colpito e così li ho fotografati. Alcuni avevano anche del cellofan, sembravano delle vestizioni tribali. Da quel lavoro ne è poi nato un altro, il video Inward  in cui una forma abbastanza grande, tonda e morbida muovendosi in uno spazio si modifica come fosse viva. Ho realizzato una struttura resa morbida all’interno con del cotone e rivestita con gli elementi che avevo visto negli alberi, cellofan e corda di bambù. Durante il video ad un certo punto dall’ interno escono dei vegetali, come una germinazione. Una specie di bozzolo, una forma organica che poi cresce. Nei tronchi avevo letto un’idea di protezione e costrizione che ho riportato anche nel video, ma aggiungendo un elemento liberatorio. 

mercoledì 13 maggio 2015

Conversazione con Sabrina Muzi/ Artista - Assegnazioni simboliche

Prima parte


Sabrina Muzi vive e lavora a Bologna.
Opera impiegando dispositivi differenti: video, fotografia, performance, installazione, disegno che in relazione tra loro, spesso, contribuiscono al compimento di progetti site specific.
Questa conversazione è stata l’occasione per parlare degli ultimi progetti dai quali emerge un nuovo interesse verso elementi e oggetti, soprattutto spezie o sostanze di cui ci cibiamo, investiti di significato apotropaico. 
Ai consueti temi del corpo soggetto alle connessioni con l’ambiente sociale e naturale, al cibo, nei lavori recenti, si sovrappongono le differenti assegnazioni simboliche che l’uomo ha attribuito, nel corso della storia, a forme e sostanze naturali.




Amuleti, spezie, 2013
A.R.C. Raccontami di "Pratica naturale" la mostra che hai proposto nello spazio Sensus lo scorso ottobre a Firenze, con la quale casualmente è nata una liaison con il blog, nella Giornata del Contemporaneo.
S.M. La mostra è stata il risultato di vari interventi: un’installazione a terra fatta di spezie era il punto di partenza, un lavoro che esisteva già, ma molto recente, e che mi è stato chiesto di riproporre, poi alla fine tutto il progetto della personale è un po’ gravitato intorno a questa installazione.
Gli elementi naturali, legati al cibo ricorrono spesso nel mio lavoro, come il corpo, che comunque è legato all’alimentazione. Il titolo di questo lavoro è Amuleti, sono forme "disegnate" sul pavimento e realizzate con spezie in polvere. Il richiamo è alle tradizioni scaramantiche popolari, sono simboli portafortuna.
Thypos, terra,  2013, dettaglio
Le spezie contengono da tempo questo valore, probabilmente questo deriva anche dal fatto  di avere proprietà medicamentose, aspetto molto sfruttato nell’ antica farmacopea.
Nonostante la fragilità del materiale, il lavoro visivamente risulta compatto, ingannando un po’ la percezione, tanto che le persone sono tentate a toccarlo. Poiché ho testurizzato la superficie rendendola un po’ mossa, si ha l’illusione che sia stoffa, come fosse un tappeto. 
Lo spazio a disposizione era molto grande, e per l’occasione ho realizzato dei lavori nuovi. Al centro di una stanza ho posizionato una "colonna" tonda composta da fili che scendono giù dal soffitto fino a terra, realizzati infilando semi di cardamono, fagioli dell’occhio e peperoncini, poi in fondo in misura minore c’erano anche altre sostanze, cannella, noce moscata, anice stellato, ecc. Pur avendo un aspetto così leggero, il lavoro ha una sua presenza, diventa un elemento architettonico. Il titolo è Pomander.

Pomander, fagioli, semi di cardamomo, filo, 2014
A.R.C. Molto profumato. Un’opera plurisensoriale.
S.M. Sì, infatti i pomander erano delle sfere riempite di spezie, che nel Seicento e Settecento portavano indosso sia uomini che donne, avevano la funzione di profumare, ma venivano usati anche come portafortuna. Ho voluto unire entrambi i significati. La colonna di fili che pendono ricorda uno scacciaguai: suoni, profumi, elementi naturali, così come la Veste che è in mostra proprio ora nello spazio ABC a Bologna per “Hestia. La dimora, cinque artiste e una divinità”, a cura di Maura Pozzati, che, ha comunque anche altri riferimenti: è legato alle tuniche sciamaniche. In differenti culture gli sciamani usano indossare tutta una serie di oggetti penzolanti, che un po’ per il rumore, un po’ per i colori, servono da una parte a scacciare gli spiriti malevoli, dall’altra ad ancorarsi al terreno per non volare via con loro.

A.R.C. Il tuo lavoro ha sempre a che fare con il corpo, il cibo e la natura. Come nasce invece questo tuo interesse per la scaramanzia?
Hortus, riso, installazione, 2013
S.M. Quello che mi interessa è soprattutto la funzione simbolica, ma anche i materiali.
Il riferimento al simbolo arriva nel mio lavoro più di recente, partendo da quella che è la ricerca sul corpo, sul cibo, sulla natura che man mano si è evoluta e ha preso questa direzione. Nella storia gli esseri umani hanno sempre fatto convergere in un prodotto, in un elemento o in una sostanza, un simbolo di qualcosa, che è un valore assegnato. C’è la serie Charms composta da piccoli oggetti realizzati con materiali naturali, cibo, legumi, fiori, che ricordano questo tipo di manufatti.

Hortus, riso, installazione, 2013 dettaglio
Il simbolo non mi interessa soltanto nella sua accezione apotropaica, ma anche per il suo valore segnico/grafico. Nel 2012 ho realizzato un intervento nello spazio Novella Guerra, a Imola, dove ho creato delle forme-simbolo, come per il lavoro delle spezie, utilizzando però la terra. E’ stata un’evoluzione grafica di forme che mi sono divertita a disegnare, e partendo da forme già esistenti le ho modificate. Il riferimento era quello dell’archetipo della madre terra, del femminile e delle fasi lunari. Sono partita dalla mezza luna piena, che man mano diventavano delle corna, poi una colonna turrita, un vaso, una falce, e cosi via fino a tornare ad essere un cerchio. Anche questi tappeti di terra apparivano con un loro spessore, rivelando un’ aspetto oggettuale. Sempre con lo spesso procedimento tecnico, nel 2013 ho realizzato Hortus, un lavoro più complesso, tutto fatto con il riso. Un quadrato 2mx2m realizzato come se fosse un merletto. E’ una a sorta di giardino di riso. Ho ripreso il disegno di varie piante e fiori utilizzati nell’architettura del passato sia per bassorilievi che nelle pavimentazioni: foglie di acanto, palma, rosette, vite. Ispirandomi a quelle che erano le decorazioni musive e decorative medievali. Chiudeva la forma l’elemento ornamentale del nodo, tipico delle tradizioni nordiche e celtiche.

Vanitas7 fotografie, 40x60 cm + cornice, 2013
A.R.C. Mi sembra che aggiungendo a elementi come il riso, i legumi o sostanze come le spezie, che sono cibo e elementi dal significato apotropaico, ma anche moneta di scambio, il tuo lavoro stia acquistando, rispetto a quelle che sono le connessioni con l’ambiente sociale e naturale, un livello di lettura sempre più complesso.
S.M. Riflettere sul rapporto con l’ambiente sociale e naturale è anche un pensare alla storia del genere umano, tutti i saperi e le conoscenze possono essere messi in ballo, antropologia, filosofia, biologia, botanica. Più si va avanti e più la ricerca si stratifica ma quello che si deve cercare di fare è sempre arrivare a una sintesi, la semplicità capace di rendere una complessità. Anche i linguaggi che utilizzo sono aumentati. Oramai mi muovo su più media, e passo con facilità dall’uno all’altro.

Daimonprogetto di 15 fotografie, 2014
A.R.C. Parliamo del lavoro che esponi qui a San Benedetto del Tronto, per il Marche Centro d’Arte.
S.M. Si tratta di una selezione di un progetto di quindici fotografie, qui ne ho selezionate alcune. In vari miei lavori sono presente io stessa, con il mio corpo, questo è uno di quelli, dove però ho scelto di rappresentare il volto.
Si chiama Daimon, e l’idea parte dalle maschere che troviamo in rilievo o come sculture nei voltoni di antichi palazzi, o anche nei portoni, quei mascheroni un po’ mostruosi che avevano in passato la funzione di spaventare per proteggere. Ho cercato di rendere evidente questo aspetto utilizzando anche qui materiali che provengono dalla natura, elementi marini, carrube, funghi.

Charms, 30x30 cm ca. ognuno
- fiori di karkadè e cuscino in pelle
- stecche di cannella, fagioli rossi, noci moscate e cuscino in stoffa
- perle di tapioca e cuscino stoffa, 2013
A.R.C. Come procedi, come li hai realizzati?
S.M. La composizione è stata fatta potremo dire in maniera analogica, cioè senza far ricorso al fotomontaggio digitale, ma lavorando su due scatti fotografici, quello del volto di cui poi è stata ri-fotografata la foto con i vari elementi sovrapposti.

A.R.C. Si percepiscono le ombre degli elementi sovrapposti, c’è una certa profondità, è vero.
S.M. Sì, volevo si percepisse una profondità. Il Daimon nell’antica filosofia greca indica lo spirito, l’essenza, quello che veramente si è e che dovrebbe venir fuori, che in genere viene fuori dal volto, quando ci relazioniamo con gli altri.


A.R.C. Quale è stato il tuo primo lavoro maturo, quello che consideri l’opera di origine di una serie di altri sviluppi?
Veste, materiali vari, 2015
S.M. Un lavoro realizzato con dei frammenti piccolissimi di carta posti su dei grandi pannelli che andavano a formare una texture multiforme. Si ricollegava a riflessioni sulla storia dell’arte. Una aspetto che poi è tornata con Hortus e in altri progetti recenti. Un altro lavoro a cui sono molto affezionata è un’installazione realizzato con sei fogli di carta velina, su cui ho tracciato dei segni materici con la polvere di grafite. Si intitolava Studi, erano degli studi appunto, pur essendo un lavoro fatto tanti anni fa sento che lo potrei fare anche adesso. Lo esposi qui a San Benedetto del Tronto, quando ancora ci vivevo, nel lontano 1991. Poi nel ’92 l’Accademia di Macerata, con la cattedra di anatomia organizzò una mostra in Cina, nel Museo di Storia Cinese, in Piazza Tienanmen. 
Io avevo già finito l’Accademia da un paio d’anni. C’erano anche Carla Mattii, Francesca Gentili, Franco Marconi e altri. Lo esposi lì, piacque moltissimo, forse perché evocava connessioni con la calligrafia cinese, è un lavoro che contiene un’estemporaneità e una sua freschezza. 
Questa fu la prima mostra di artisti occidentali in Cina, era il periodo di Deng Xiaoping. In Cina ci sono tornata poi nel 2010 per una residenza a Kunming, nello Yunnan, dove ho avuto occasione di fare una residenza di tre mesi, che si è conclusa con una mostra allo Yunnan University Art Museum della città.

A.R.C. Come è stata quest’esperienza?
S.M. E’ sempre interessante trovarsi in un paese straniero, specie se si è dall’altra parte del globo, in una cultura completamente diversa dalla tua. Avevo già fatto un’esperienza nel 2007 in Corea, a Seul. Poi l’ultima nel 2013 a Taipei, in Taiwan.