venerdì 12 giugno 2015

Conversazione con Gabriele Morleo/artista


 Nato a Conversano in provincia di Bari, ha svolto i suoi studi di cinema alla Sapienza, a Roma. Vive e lavora tra Roma e Livorno.
Dal 2012 è il vicepresidente di Carico Massimo.
Interessato alla complessità del visivo, alle relazioni umane, alla narrazione indirizza il suo lavoro verso il racconto del tempo in cui vive. Non privilegia nessuna pratica in particolare, pur mantenendo verso il cinema, la narrazione e la video arte una particolare attenzione.
Ci incontriamo agli Ex Magazzini Generali di Livorno, dove ci siamo conosciuti e, dove dal 2012 ha sede Carico Massimo, un contenitore d’arte contemporanea, un collettivo di artisti, critici, collezionisti.

A.R.C. Partiamo dal racconto cinematografico. Come è iniziato quest’esperienza?

Viva il tifo!
G.M. E’ iniziato con una passione smodata per il cinema, perché racchiude in sé una serie di forme: l’immagine, il racconto, la parola, spesso la musica, mi piace perché ha un linguaggio complesso.
Poi essendo io legato all’immagine, al visivo ho provato a sintetizzare quelle immagini che avevo in mente e, c’è stato un momento che sono passato dal diacronico al sincronico, riempiendo queste immagini di narrazione.
La mia è una formazione basata sul racconto, ho studiato cinema, quindi tutto parte dal racconto. Che mi occupi di arte diacronica, che mi occupi di arte sincronica, comunque tendo a raccontare qualcosa, raccontare il tempo in cui vivo. Che non vuol dire la contemporaneità ma il tempo come frutto di quello che è successo. Il passato come attimo prima del futuro, il presente come ciò che è accaduto come immediatamente dopo il passato. Questo mi interessa, raccontare delle storie.


Opera effimera
A.R.C. Come è avvenuto questo passaggio?

G.M. Ho iniziato col cinema a sedici anni, con lo studio e una visione continua di film. Lo studio non mi bastava e ho iniziato a sperimentarmi, mi interessava sperimentare. Da lì sono nati una serie di cortometraggi. Poi c’è stato il film realizzato a Turi con i detenuti del carcere di Turi, il film su Gramsci.
Ho sempre realizzato delle micro installazioni che tenevo per me, non c’è mai stato un vero passaggio. Ho sempre lavorato su più livelli. In realtà il cinema è una macchina complessa, ha necessità di molti soldi e molte persone. Non mi interessa più tutto questo, ora ho voglia di lavorare in un’altra forma. Continuo a realizzare video. Sto realizzando un progetto che prevede un lavoro di rimontaggio di una serie di film che verranno utilizzati come visual.

 
Opera  effimera
A.R.C. Parliamo del film su Gramsci. Come si intitola? Cosa racconta di Gramsci?

G.M. Si intitola “Gramsci, film in forma di rosa”, 2005.
Mi interessava lavorare sulle lettere dal carcere, per una ragione semplicissima, mentre i quaderni, pur scritti all’interno di una cella, con tutte le difficoltà del caso, prevedevano una lettura meno intima, le lettere sono un fatto intimo. Scrive alla moglie, scrive alla cognata e nonostante ciò sono cariche di bellezza.
In genere quando si scrive, si pensa ad un pubblico, si riempie di una bellezza affettata il racconto, lì è naturale.
Mi è piaciuto lavorare su queste lettere, lavorare nel posto che l’ha visto detenuto. Mi interessava l’idea di giocare un po’ con i luoghi comuni, il cinema come evasione.

 A.R.C. Come nasce l’idea di lavorare con i detenuti del carcere di Turi e non solo sui testi?

Identità di carta
G.M. In realtà volevo capire quanto fossero cambiate certe condizioni di vita all’interno del carcere. Io ho una cultura molto libertaria e anti repressiva. Una società che contempla ancora il carcere è lontana da una società che ha raggiunto un discreto livello di civiltà. In qualche modo gli ho aiutati ad uscire, i loro volti hanno girato l’Italia, sono stati in Brasile. In seconda battura capire se quelle lettere, ancora oggi, per un detenuto hanno un senso.
Per il resto è un esperimento di video arte. Ho cercato di raccontare la contemporaneità di Gramsci attraverso la forma, dalla fotografia alla musica, non attraverso il contenuto. E’ un film su Gramsci che ha i Sigur Ròs come colonna sonora.



Colin Darke, Gli dei partono, installazione, 2012, dettaglio
 foto Carico Massimo 
A.R.C. Dove possiamo vedere il film?

G.M. Il film si trova ancora in qualche bancarella, mi è capitato di vederlo in giro. Su internet non c’è, per quanto dopo dieci anni, sono passati esattamente dieci anni dalla realizzazione, ho intenzione di metterlo in rete.

A.R.C. Te lo chiedevo perché nel caso ci fosse, lo possiamo linkare sull’intervista, anche in frammenti, se ci sono frammenti.

G.M. Sì, certo anche se sull’intervista possiamo tranquillamente linkare il film che abbiamo realizzato con Federico Cavallini su Colin Darke per Carico Massimo.

 A.R.C. Ci volevo arrivare. Del resto ci siamo conosciuti qui agli ex Magazzini Generali, nel 2012, mentre Colin preparava il suo lavoro “Gli dei partono”. Lui realizzava la sua installazione e tu il video su di lui.  Raccontami come è andata.

Colin Darke, Gli dei partono, performance, 2012 -
foto Carico Massimo
G.M. Federico ed io abbiamo documentato la performance. Il video è un documentazione dell’azione performativa. Anche in questo caso, attraverso la forma abbiamo espresso il contenuto.
E’ un lavoro molto lento, commovente a tratti, nel senso che vedere un uomo che per otto ore al giorno, per due settimane incide su delle mele, con un coltellino, una lettera di Gramsci è emotivamente coinvolgente.
Abbiamo documentato il lavoro, dopo di che, io ho fatto un esperimento: l’ho proiettato in un bar di Roma, un baraccio. L’ho proiettato all’interno di un videopoker.  C’erano tre videopoker, in uno c’erano gli avventori che giocavano, e negli altri due veniva proiettato il documentario di Colin.

A.R.C. Quando l’hai realizzato?

Colin Darke, Gli dei partono, installazione, 2012 -
 foto Carico Massimo 
G.M. Un anno fa. Mi ero messo d’accordo con il proprietario, ho puntato questo proiettore e ho proiettato all’interno di queste macchinette.



 A.R.C. Come è stato percepito dagli avventori del bar?
G.M. Ha suscitato un enorme interesse, erano incuriositi, affascinati.

A.R.C. Hai inserito nel quotidiano un lavoro molto bello e complesso, all’interno di macchinette del video poker, che tutto sono tranne bellezza e complessità.  Non abbiamo detto in cosa consiste il lavoro di Colin Darke. In sintesi cos’è?

Colin Darke, Gli dei partono, installazione, 2012 -
foto Carico Massimo 
G.M. Nel video semplicemente registro la performance, documento Colin che per due settimane, otto ore al giorno, incide il testo di una corrispondenza di Gramsci - la risposta a Trosky, nel 1922, ad una richiesta di informazioni sul futurismo italiano- incidendo le singole lettere su 556 mele. Le mele sono state poi lasciate decomporre.
Le mele sono state scelte da Colin come citazione e riferimento alle mele in decomposizione dipinte da Courbet durante la prigionia, a seguito della sua partecipazione alla Comune di Parigi.

 A.R.C. Perché hai scelto il bar del Pigneto per l’installazione?

G.M. E’ un bar particolare, in via Montecuccoli, a Pigneto, dove è stato girato “Roma città aperta”.
Io ho abitato per anni lì, era il bar sotto casa e sotto il mio studio. E’ il Friends caffè, gestito da due fratelli Bengalesi, frequentato da una popolazione molto varia: pensionati, ferrovieri, migranti.
Negli anni, quando finivo un’opera, la portavo al bar, la sistemavo sul frigorifero o da un’altra parte e la lasciavo lì. Si capirà che è un’opera? Funzionava. Poi quando era assodato che fosse un opera, ho smesso.


A.R.C. Mi hai detto che ci sono dei tuoi lavori, ancora lì. C’è stato un seguito a questo esperimento?

G.M. Si, in seguito il proprietario mi ha chiesto un lavoro su “Roma città aperta”. Ho riproposto la scena della Magnani che scappa, dove c’è la folla che si assembla.
Ho semplicemente inserito un a freccia con il pennarello scrivendo “voi siete qui”.
Da quel momento ho iniziato a fotografare chiunque si sedesse lì. Sono spesso migranti, pensionati, studenti. E’ quel discorso sulla storia che è un movimento continuo.

 A.R.C. Abbiamo citato Carico Massimo. Cos’è?

G.M. E’ un contenitore d’arte contemporanea, dove degli artisti, collezionisti, curatori d’arte contemporanea hanno deciso di provare a fare questo esperimento: artisti che scelgono artisti. Il nostro vero capitale è questo: artisti che lavorano con altri artisti. La bellezza di lavorare con Colin Darke, con Gianfranco Barruchello, Babi Badalov. E’ una bella soddisfazione è sembra che funzioni.

A.R.C.

VIDEO Colin Darke, Gli artisti partono, 2012


gabrielemorleo.weebly.com

Conversazione con Federico Cavallini


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