lunedì 1 giugno 2015

Conversazione con Giovanna Ricotta/artista



Per mezzo di modalità espressive sintetizzabili nella performance e nel video Giovanna Ricotta disciplina il proprio corpo fino a raggiungere la condizione di oggetto.
 I gesti sono caratterizzati da una maniacale perfezione, addomesticati fino allo status di rituali performativi così che il corpo, al fine di raggiungere una condizione superiore, un obiettivo eroico oltre i limiti, perde la sua connotazione e arriva all’estrema condizione di oggetto, perfetta sintesi che nell’uso del colore bianco ha la sua concettualizzazione massima. Il nero altrettanto radicale è presente, negli ultimi lavori, come separazione.
Con l’ultimo progetto Non sei più tu ha raggiunto la sintesi assoluta della performance.
 

Toillette, 2008, foto
A.R.C. Parlami di Toillette, il lavoro in catalogo per i vent’anni della Galleria Marconi in Marche Centro d’Arte 2015.

GR Toillette è un lavoro del 2008 eseguito alla fabbrica Borroni a Bollate, Milano. L’idea è quella di rappresentare con una performance il mondo dell’arte contemporanea, e quindi di essere io sia giudice che damina, sia di me stessa che del sistema. Per una volta giudicare ed essere giudicata, costruendo due paradossi. Ho scelto di essere una figura dell’Ottocento, come giudice e come damina, maschio e femmina, per la frivolezza.
Per dire delle cose assolutamente forti in modo delicato.

Go fly, 2004, foto
A.R.C. Nella mostra Sub Specie Aeternitatis a cura di Rebecca Delmenico, pensata per questo progetto è presente, però, un altro tuo lavoro, Go Fly. Perché questa doppia scelta?

GR Se in mostra abbiamo Go Fly, dove il bianco su bianco impera come presa di coscienza -il corpo bianco, lo spazio bianco, l’abito bianco e l’installazione stessa bianca, un richiamo al corpo performativo- in Toilette aggiungo questi rosa carne. Chiamiamola carnalità, ma solo in parte, una micro definizione nella quale percorro un tappeto performativo per arrivare a questa toilette dell’Ottocento, dove eseguo una serie di azioni finali e conclusive al lavoro.
Il bianco fa sì che il corpo sparisca e l’oggetto arrivi in primo piano, il corpo stesso del lavoro.


Toillette, 2008, foto
A.R.C. Il bianco è un elemento dominate in tutte le tue performance, non è solo assenza di colore. Perché questa scelta?

GR Perché, quando usi questo non colore il corpo diventa spazio stesso. Il bianco è’ luminoso, quindi confonde. Tendo a cercare spazi, dove eseguire le performance, che siano bianchi. Lo facevo soprattutto in quel periodo. Go Fly è del 2004. Spazi molto asettici quindi il valore è dato dal concetto del lavoro. Lo privo quasi totalmente di qualunque elemento, il più possibile.
Essendo la performance, già di suo, qualcosa di spettacolare, vado a sottrazione, preferisco che, anche se compio azioni che nel mio corpo sono sempre minimal, esse stesse diventino ancora più minimal.
 
No Sense, 2005, foto
A.R.C. Corpo e azione si confondano con lo spazio…

GR Sì, lo potenziano, in un certo senso lo definiscono ma non lo caricano di intenzioni altre.

 
A.R.C. Quanto è durato questo tuo lavoro sul bianco?

GR L’ho iniziato coscientemente intorno al 2002, continuo a portarlo avanti in un altro modo ancora oggi, strutturandolo in maniera un po’ diversa.
 

A.R.C. Il bianco ti permette di annullare il tuo corpo per dare più corpo all’oggetto. Qual’ è l’azione che compi in Go Fly?

GR E’ il periodo del bianco e dello sport. Ho analizzato moltissimo il concetto di sport e di atletica, come disciplina. Uno sportivo deve avere il controllo del corpo, una disciplina della mente che io non posso avere. Quindi mi sono messa nella condizione di analizzare lo scatto nello sport. In questo caso lo scatto di velocità del salto all’ostacolo. L’ambiente bianco, questa pedana lunghissima, che rappresentava più o meno la linea dallo scatto al salto, con l’ostacolo finale, anch’esso bianco, dove io affronto un comando che mi invento. In realtà il comando è On your marks – Set –  Go ovvero Pronti – Partenza – Via. Go fly non esiste. Go fly è un comando per non avere più paura dell’amore.

Fai la cosa giusta, 2010, foto
 A.R.C. Nel corso del tempo cè stato un cambiamento delle scelte cromatiche, misurato ma costante che arriva a Toilette 2008, con questo inserimento del rosa e prosegue fino ad oggi.
E' un sostanziale cambiamento sopratutto concettuale. In che forma si manifesta?

GR Come accade a tutti gli artisti, si attraversano delle fasi. Parlando di Go Fly, che è del 2004 si arriva a Toilette nel 2008, per arrivare poi ai lavori del 2010-2012 dove comunque il bianco rimane una costante molto evidente, quasi metodologica del lavoro stesso. Però, nel 2010 ho inserito il nero come separazione. Da lì non c’è più stata la consapevolezza di non usare il bianco, di non usare le trasparenze o di non usare il rosa, ma di usare il corpo, di usare questi elementi in un altro modo. Quel lavoro si chiama Fai la cosa giusta è stato un passaggio necessario che è diventata consapevolezza e adesso l’oggetto stesso per me è diventato molto più forte. L’oggetto ha quasi mangiato il corpo, se vuoi il corpo è diventato scultura.
Per me in questo momento, se la pittura sta al video e il video alla pittura, la scultura sta alla performance e viceversa.
 




Falene, 2012, foto
A.R.C. Perché hai scelto la performance come pratica per il tuo lavoro?
Come sei arrivata a questo tipo di scelta?

GR E’ stata una sorta di necessità. Appena finita l’Accademia nel ’96, già sperimentavo installazioni. In realtà mancava sempre qualcosa, un suono, un movimento e non sapevo cosa. Il richiamo è stata una mostra di giovanissimi artisti e, ho voluto sperimentare questo spazio con il corpo. E’ scattato un amore. Ho capito che per me era necessario mettermi dentro, totalmente, al lavoro e con questo annullare me stessa. Quindi anche lì andare di sottrazione di ego e quant’altro.
Ecco che sto arrivando al punto di togliermi, per lo meno adesso, non che non ci sarò più. Ma c’è una riflessione, un periodo dove annullo ancora di più l’ego. Faccio sì che l’opera stessa funzioni senza la mia presenza, che queste sculture, non è la parola giusta, questi oggetti, comunque sculture, prendano il corpo e diventino esse stesse performance.

 A.R.C. Nei tuoi ultimi lavori stai andando in questa direzione?

GR Sì, sì per l'appunto.

 
Non sei più tu, 2015, monocromo
A.R.C. Fra qualche settimana presenterai il tuo ultimo lavoro nel Palazzo Pretorio di Cittadella (PD). La mostra, a cura di Guido Bartorelli e Silvia Grandi, è una sorta di retrospettiva che contiene, come parte centrale dell’intero progetto, un nuovo lavoro Non sei più tu. Dalle note stampa mi è parso di capire che hai ribaltato il rapporto corpo-oggetto, oggetto-corpo presente nei lavori di cui abbiamo parlato fin ora. Mi puoi anticipare qualcosa?

GR Da un certo punto di vista c’è stata una sorta di inconsapevolezza nel capire, una sorta di fermo. Metodologicamente sentivo che potevo reiterare un lavoro ma non mi piaceva più. Sentivo che c’era qualcosa di nuovo da dire. Non sapevo come fare, perché dovevo inventarlo e a me non piace, dovevo sentirlo, in qualche modo. Sentire questa sorta di novità. Allora, partendo dal concetto che ti accennavo prima, per cui oggi il video sta alla pittura e la performance alla scultura, ho capito che concettualmente dovevo dire qualcosa alla performance, dare una sorta di passaggio alla performance.
Il lavoro si intitola Non sei più tu. Non sei più la cosa di prima, non sei più la cosa di adesso. Ma non sei più tu, non solo io, il mondo. Lavoro sempre in forma di disciplina e di pensiero, una sorta di domanda: <<Non sei più tu?>> <<No, non sono più io>>. Non c’è arroganza. Non sono più io così come mi vedi.




 

Non sei più tu, 2015
A.R.C. Un oggetto che riassume la forma, come?

GR Quando utilizziamo il cellulare, Skype, estraiamo totalmente il corpo in senso fisico dalla relazione da quella che è l’interazione virtuale.
Ma come può un corpo essere virtuale se non è fisico? Risulta quasi un oggetto che riassume la forma, ti dice delle cose, ti comunica perché lo tocchi, perché lo vedi. Ci entri all’interno in un certo qual modo, allora nasce questo lavoro che è Non sei più tu.
E’ formato da un’urna, perché è un urna, non è funeraria ma è un’urna, eseguita in 3D, con una stampante in 3D.
Tre fotografie della pelle, la superficie, la texture. L’oggetto stesso è Giovanna Ricotta, che non si muove, ma è il corpo Giovanna Ricotta.
La sua superficie in tre monocromi: sono la pelle esterna dell’oggetto; l’interno che contiene la graffite, il colore dell’artista, la matita la prima arma dell’artista; la parte alta, la chiusura, un cappello griffato all’interno con GR, come un timbro, è la testa dell’artista, il pensiero dell’artista.
Questi tre monocromi rappresentano queste tre situazioni, più l’oggetto. Non più fotografare l’artista in azione che fa la performance: tipo fronte retro, alto basso, ma l’oggetto stesso con la texture che concettualmente fa un altro passaggio e rappresenta l’oggetto artistico performativo in questi passaggi, con i monocromi. Quasi un disegno su un disegno.


Non sei più tu, 2015, monocromo


 
A.R.C. Hai raggiunto l’obiettivo di trasformarti in cosa.

GR Esatto.

A.R.C. Al momento hai eliminato la tua presenza fisica, e poi?

GR Questo lavoro è un passaggio di una cosa che non può non essere notata o citata, ciò non vuol dire che si deve togliere dalla performance questa forma di interazione, ma non può più svolgersi senza questo passaggio necessario. Penso che sia la sintesi assoluta della performance. Metto un punto alla performance è dico <<Questa è una performance, ed è fatta così>>.

A.R.C.

  

 
 
 

 
 
VIDEO
Falene 2012




MARCHE CENTRO D'ARTE - 5^ Edizione



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