lunedì 15 dicembre 2014

Conversazione con Marcello Scalas/ artista e designer - Tematiche ambientali

A.R.C. Quali tuoi lavori affrontano tematiche ambientali? Quando hai iniziato ad occupartene?
M.S. Avevo realizzato un lavoro dal titolo “Copyright” di un metro per un metro, che doveva essere inviato in Giappone a Kyoto per il summit sul tema dell’acqua. Era il 2001. Consisteva nella parola “acqua”, scritta in cerchio. Il lavoro risultava un po’ ambiguo perché man mano le lettere che componevano la parola “acqua” si disintegravano e si perdevano nella superficie bianca del pannello. L’ultima lettera rimaneva la “c” che si trasformava nel simboletto del copyright ©. L’espansione della goccia aveva un risvolto negativo. Sempre sul tema dell’acqua avevo fatto un altro lavoro “Souvenir”, esposto in uno spazio espositivo che gestivo io: Il Buco.

A.R.C. In cosa consisteva?
Souvenir, 2009, installazione, 192 bottiglie,
foto G.Flore
M.S. Lo spazio era una vetrina. L’installazione consisteva in 192 bottiglie, quanti sono gli stati del mondo. Essendo questo spazio una vetrina ho lavorato come con il merchandising cioè come sistemare la merce in una vetrina. In vetrina la merce non è mai disordinata, queste bottiglie sembravano soldatini in parata militare. Dal punto di vista visivo era un lavoro “carino”, esteticamente colorato.

A.R.C. Come deve essere un prodotto!
M.S. Appunto. Queste 192 bottiglie contenevano dell’acqua, avevano una cannuccia e una bandierina per ogni paese. Siccome mi interessa rallentare i tempi di percezione, soffermarmi su un’ opera d’arte, avevo messo dietro ogni bottiglia il simbolo del copyright, un adesivo che si vedeva al contrario e per riflesso. Quindi solo chi ha avuto attenzione lo ha notato.

Il rifiuto di Jean Marie Pelt, 2009,
installazione, dimensione ambiente
A.R.C. Che anno era?
M.S. Il 2009. Sempre dello stesso anno è “Il rifiuto di Jean Marie Pelt”, realizzato in un altro negozio, in uno spazio 3mx3m. 
Un negozio che aveva una grande vetrina che ho immaginato come una serra. Siccome lavoro con i materiali di recupero ho un po’ giocato con le assonanze: il “rifiuto” in quanto materiale di scarto, avanzi di lampadari, tubi, pompe.
L’occasione è stato un libro, il primo best seller di un ecologista francese tale Jean Marie Pelt che per la prima volta trattava degli organismi modificati geneticamente. Erano dei fiori mostruosi, anche loro sistemati in maniera simmetrica come potrebbero essere le monocolture.
Questa vetrina sembrava una serra dove nessuno poteva entrare. Per questa installazione il negozio era chiuso. Si poteva vedere soltanto da fuori. Al centro lampeggiava una luce verde, anche se il verde poteva far pensare ad una condizione naturale, il lampeggiare fa sempre pensare ad uno stato d’allarme e di fastidio. Anche questo è un aspetto che mi interessa, le insegne luminose. Sarà retaggio di alcuni film di fantascienza “Blade Runner” dove c’erano sempre delle luci ad intermittenza.

l rifiuto di Jean Marie Pelt, 2009,
installazione, dimensione ambiente
A.R.C. Curioso che alcuni dei tuoi lavori appaiano in una condizione di privazione, separati dal pubblico da una vetrina, una barriera. C’è la totale impossibilità per lo spettatore ad avere un qual si voglia contatto, entrare e muoversi attorno al lavoro. Poi ci sono tuoi lavori che esplicitamente invitano alla condivisione, nei quali la partecipazione attiva del pubblico è fondamentale. A Molineddu con “Che piacere averti qui” hai condiviso l’opera non solo con il pubblico ma anche con gli animali del giardino, e di recente è accaduto anche con “Il giardino delle delizie”... una condivisione totale, anche con le galline!

Che piacere averti qui, 2001, dettaglio


M.S. Se anche la natura apprezza il tuo lavoro non è male! (ah ah ah)
Ci dev'essere anche una condivisione materica, di contaminazione. In quel caso lì, ho contaminato uno spazio e la natura ha contaminato completamente il mio lavoro. Il lavoro consisteva in 150 sediette realizzate con zollette di zucchero.

Che piacere averti qui, 2011, installazione, 150 sedie di zucchero,
Molineddu, Ossi, (SS)



A.R.C. All’opposto de “Il rifiuto di Jean Marie Pelt”?
M.S. Dipende. Quando ho fatto questi lavori legati a tematiche ambientali, pensavo a noi che veniamo continuamente esclusi da determinate cose. “Souvenir “e “Il rifiuto di Jean Marie Pelt” incarnano questa separazione. E’ come vedere una sperimentazione in laboratorio. Ad esempio a me la teca mi impressiona, vedere le cose attraverso una teca mi impressiona. C’è un' entità ancora più grande di te là dietro che gestisce quella cosa lì e tu non puoi intervenire, ti è precluso l’intervento. Come singoli siamo impotenti. Questo senso di impotenza è molto forte nella società di oggi.

A.R.C.In questo momento hai dei nuovi progetti? A cosa stai lavorando?

Sa Die, 2014, installazione, dimensione ambiente,
ex Mercato Civico, Sassari
M.S. Da poco ho fatto un lavoro al vecchio Mercato Civico di Sassari, legato ad una data che celebra la liberazione dei sardi dai piemontesi, dove ho cercato di svelare ciò che la storia locale tiene nascosto, perché ovviamente si tende a voler celebrare gli eroi, che nascondono sempre un non detto.
Mi è piaciuto intervenire in un luogo dismesso con qualcosa che ricorda il modo di esporre le opere d’arte nei vecchi musei.
Mi dispiace quando non si bada a certi aspetti. L’estetica del bello mi interessa. Sarà perché lavoro nella scenografia, nel design, della decorazione d’interni e ho a che fare con queste tematiche. L’escluderlo completamente dai miei lavori di ricerca nelle arti visive mi dispiacerebbe molto.
Sto sempre molto attento alla forma e all’estetica del lavoro. Per me è importante il rapporto con le superfici.

A.R.C. Quel lavoro ha un forte interesse verso il bello, non tanto a livello di piacevolezza ma per come è stato progettato e per come era proposto: all’interno di uno spazio oramai chiuso - perché Sassari ha un nuovo mercato- innalzando un spazio degradato a sala museale lussuosa. Raccontami di questo progetto.
Sa Die, 2014, installazione,dettaglio,
ex Mercato Civico, Sassari
M.S. Pensavo di realizzare una serie di lavori legati sempre ad uno svelare la realtà altra di una storia raccontata secondo un determinato schema o prospettiva. In questo caso la storia non è stata raccontata dal potere, ma dai vinti, il lavoro si intitola infatti “Sa Die”. La storia racconta di un’occasione persa.
Quindi mi interessa intervenire o in luoghi dismessi o in luoghi apparentemente brutti con un frammento di bellezza, lavorando anche sul colore.
Per “Sa Die” il colore di fondo era un rosso porpora, come forti sono i colori dei musei ottocenteschi.

A.R.C. Possiamo dire che oggi i tuoi progetti vanno in questa direzione?

 M.S. E’ difficile dire in che direzione vanno i miei progetti.

Quando si lavora in diversi campi come nel mio caso: un intervento decorativo all’interno di un negozio mi può dare l’imput di una installazione, di un libro d’arte, un disegno.
Se non buttassi giù due righe ogni vota che mi viene un’idea  vivrei nel caos più totale.
Quando lavoro ad una scenografia confrontarmi con un regista di teatro che mi dà altro, il nuovo, succede il corto circuito. Non posso chiudermi. Tutto determina nuove cose.
I temi di fondo dei miei lavori sono comunque sempre gli stessi: tematiche ambientali, la comunicazione, tematiche universali. L’uomo c’è sempre, anche quando raffiguro animali. Sono sempre antropomorfi, tranne nel "Giardino delle delizie", nel quale mi interessava mettere in evidenza lo scontro uomo-animale.
Sono stato invitato in un luogo dove il proprietario utilizza le pelli dei conigli, delle pecore, le zampette degli agnelli per fare i suoi lavori, e io ho realizzato una cinquantina di sagome, di stencil  realizzati con zucchero a velo. 
Giardino delle delizie, 2014,
50 stencil, zucchero a velo,
Molineddu, Ossi, (SS)
Anche in quel caso lì, come per “Che piacere averti qui” è stato consumato dagli animali. Come dire: l’anima di questi animali è durata davvero pochissimo. Anche in questo caso la dimensione è favolistica, legata all’infanzia.
Nel caso di “Che piacere averti qui” il lavoro era un vero dialogo dell’uomo con la natura, dell’artista con la natura, perché esporre in una campagna ha dei rischi. Puoi scadere nel monumento, in qualcosa che cerca di concentrare tutto su di sé. Ho quindi cercato di rompere questo atteggiamento con le ridotte dimensioni e una quantità elevata di pezzi, in varie situazioni, ogni angolo è buono per sederti.
C’è stata come la rivincita della natura.



 A.R.C


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