giovedì 2 ottobre 2014

Conversazione con Marcello Scalas, artista e designer/ Sassari

Marcello Scalas realizza allestimenti scenici, complementi d’arredo, decorazioni utilizzando principalmente materiali di recupero. 
Destruttura e ricostruisce, ricrea ambienti emotivamente coinvolgenti. Non cerca la bellezza, ma la relazione dinamica tra le cose a partire da una relazione empatica con le persone.
Come per il suo lavoro artistico, anche l’approccio al design è caratterizzato dal nomadismo dei linguaggi . 
Non è nella realizzazione dell’opera oggettuale che si completa il suo lavoro, ma in una continua ricerca di significato, che trova nell’ elemento narrativo il centro propulsore di ogni sua azione. 
Anche quando si tratta di una lampada realizzata con teiere di porcellana o tavolini rifiniti con pennini degli anni Trenta, il fine non è la bellezza dell’oggetto. La lampada si può chiamare “Ieri c’era poca luce” e i tavolini “Calvino”, lo spettatore è sempre portato ad immaginare attraverso le immagini stesse, a fantasticare, a trovare senso tra le parole nascoste dentro gli oggetti.

A.R.C. Quali sono i primi lavori che hai realizzato utilizzando materiali di recupero?


Five O'clock
M.S. Tra i primi lavori c’erano delle lampade e delle sedie.
Posso dire che ho sperimentato di più con le lampade, perchè quando hai a disposizione diversi elementi da comporre, come vecchi lampadari, vecchi oggetti che puoi assemblare a piacimento, i risultati finali sono i più svariati. Sin dall’inizio sono partito dal presupposto di utilizzare le cose come se fossero parole e ricomporle in forma di lampade, tavolini o mobiletti.
Mi sono reso conto che la maggior parte della mia produzione legata alla decorazione e al design ha una forte componente sentimentale. In questi oggetti c’è una narrazione di fondo, molto importante. Nei miei primi lavori artistici i “bianco su bianco”, dove erano fondamentali le parole o nella produzione dei teatrini, che sono dei trittici in legno -realizzati soprattutto per le camerette dei bambini- dentro i quali scrivevo una filastrocca, l’elemento narrativo era molto forte ed è rimasto anche quando ho utilizzato materiale di recupero, per realizzare lampade o mobili.

Calvino, particolare

A.R.C. Racconti sempre una storia?
M.S. Sì, mi rendo conto che il mio modo di fare design potrebbe risultare, a chi progetta nell’industria, diciamo così, un po’ come se fosse la prima fase della creazione. C’è prima una parte molto istintiva, quella progettuale arriva sempre dopo, però quella istintiva, più sentimentale, più narrativa è quella che, anche ripulendo di molto l’oggetto, rimane sempre in maniera dominante. 

A.R.C. A proposito di storie e racconti, parlami dei tavolini che si chiamano “Calvino”. Qui è chiaro il riferimento allo scrittore. Come sono nati questi oggetti?
M.S. “Calvino” sono due elementi ovali, semplicissimi, con una citazione dalle “Lezioni americane”, il capitolo sulla leggerezza. Erano gli anni Ottanta ma già si prevedeva che con i software tutto sarebbe diventato più aereo, leggero. Le frange sono realizzate con dei pennini degli anni Trenta. Il riferimento alla scrittura è evidente.
Volafitta
Fanno parte di un allestimento, non sono oggetti a se stanti, entreranno in comunicazione con quello che avranno attorno. Al momento è solo un’idea dei committenti, ma lo spazio in cui sono intervenuto andrà a contenere delle librerie, delle librerie estremamente moderne, dove l’elemento libro dominerà. L’immagine barocca delle librerie cariche di libri tutti diversi, colorati, decorati è bilanciato dall’elemento ovale dei tavolini e dalla parola scritta.

A.R.C. Perchè dai questi nomi allusivi agli oggetti? 
Case dolci, lampade di zucchero
M.S. Il nome è anche un piccolo racconto. Per esempio, ho fatto una lampada che si chiama “Ieri c’era poca luce”, come se l’arrivo della luce fosse collegato direttamente ed esclusivamente all’acquisto della lampada, da me realizzata.
Alcuni dei miei complementi d’arredo, come le “Volafitte”, ad esempio, che sono delle silhouette in legno, non sempre hanno una funzione, non sono veramente utili, sono molto romantiche, molto narrative, sono più elementi d’atmosfera. L’oggetto in sè serve per creare un’atmosfera, per aggiungere qualche cosa all’ambiente. Faccio spesso riferimento a figure radicate nell’immaginario, come ai messaggini inseriti nelle lampade. Una storia che aspetta di essere letta.

Frangisca e Zampilla, Zerozero
A.R.C. Hai ribaltato tutto il sistema della funzionalità dell’oggetto, privilegiando l’aspetto affettivo ed emotivo.
M.S. Sì, perchè l’uomo contemporaneo si muove dentro una marea di immagini e oggetti, l’idea di immetterne degli altri in circolazione, secondo me, non ha senso. Tutto pare essere necessario. Sovra produciamo.
L’uomo contemporaneo, rispetto ai suoi antenati, ha il compito di scegliere quali immagini portare con sé nel suo percorso di vita, nella sua casa, non si può prescindere dall’aspetto emotivo, affettivo.

A.R.C. Com’è il rapporto con le persone che acquistano i tuoi complementi d’arredo. In che relazione si mette con l’oggetto? Chi li compra?
Tapop
M.S. Chi compra degli oggetti da me ha necessità di trovare qualcosa che manca. Attraverso un oggetto aggiunge qualcosa alla vita. E’ come una scenografia teatrale. Lo spazio crea delle relazioni dinamiche tra le cose, crea racconto ed emozioni.

A.R.C. Quindi non costruisci soltanto, intervieni anche nello spazio, nel quale questi oggetti vengono inseriti?
M.S. Sì, ed è questo che mi interessa. Incontrare persone che mi ospitano nel loro ambiente ed intervenire nel modo opposto a quello che farebbe un arredatore, che lavora su un progetto. Io non lavoro sul progetto, che viene in un secondo momento, lavoro sull’atmosfera della casa e su quello che mi raccontano le persone. Non avrebbe senso inserire un oggetto estraneo affettivamente.
E’ sempre una questione di pelle. Il mio lavoro parte sempre dalla superficie per arrivare all’interno. Non mi interessa che rimanga un oggetto esclusivamente grazioso, la cui bellezza non vada al di là della pelle, della sua superficie.

Tapop, particolare
A.R.C. Mi ha colpito che anche quando intervieni in spazi pubblici o esercizi commerciali agisci come nelle case private. L’elemento sentimentale, emotivo e la narrazione rimangono sempre dominanti. Mi viene in mente un negozio da parrucchiere, che hai allestito qualche tempo fa.
M.S. In quel caso ci sono state delle trasformazioni e dei cambiamenti. Mi dissero che avrebbero voluto all’interno del locale uno spazio dedicato ai libri, poi non venne realizzato, ma a me colpì molto, quindi tenni l’elemento narrativo e l’uso delle parole.
La cosa interessante è che il negozio si chiama “Zerozero”, la titolare usa prodotti non testati su animali.
Zerozero
E’ orientata verso un utilizzo razionale delle risorse, infatti, i complementi d’arredo sono stati realizzati con i vecchi mobili appartenuti alla famiglia, a madri, zie, nonne. Io li ho modificati, riadattati, ho costruito una nuova storia, tutta da leggere.
Chi fa design di recupero, ha l’opportunità di risparmiare, di non sprecare risorse, dal momento che alcuni committenti si trovano in casa elementi che potrebbero essere utilizzati per quell’allestimento specifico.
Io parto da quelli. Realizzo prodotti che hanno avuto già una vita e in un modo o nell’altro la raccontano.
E’ come cambiare un cappotto, la persona che l’ indossa rimane la stessa.

A.R.C.

Dove trovare Marcello Scalas:
http://www.saatchiart.com/scalamarecielo 


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