lunedì 14 luglio 2014

Conversazione con Josephine Sassu/ artista (prima parte)



Nell'attesa di avere qualcosa da dire, 2013, particolare
A.R.C. - Vorrei che mi illustrassi come si sviluppa il processo creativo nel tuo lavoro, soprattutto negli ultimi progetti “Nell’attesa di avere qualcosa da dire” 2013 e Torno subito 2014.
J.S. – Credo di non aver modificato troppo il mio modus operandi, riguardo la creazione del lavoro. Indubbiamente negli ultimi anni spero che il processo creativo sia maturato, consolidato negli aspetti più positivi.
A partire da “Nell’attesa di avere qualcosa da dire” del 2013 ho pensato di interrompere, in parte, tutto il lavoro precedente dei grandi disegni, dei grandi “Monumenti provvisori”. Ho deciso di concentrarmi un attimo su altri aspetti del mio lavoro, nell’attesa di trovare un’altra via, un’altra espressione.
Ho pensato di tornare indietro e rielaborare vecchi progetti, alla ricerca di qualcosa che potessi ancora sviluppare, salvare, ripercorrere, pur non volendo trovare un nuovo tema da indagare.


Monumento provvisorio, 2007, Blublauerspazioarte, Alghero
A.R.C. –Come sei tornata indietro nel riguardare il tuo lavoro?
J.S. – Ho mantenuto alcune costanti, ad esempio l’utilizzo di alcuni materiali, a volte deperibili. Sono materiali tipici dell’arte che spesso hanno una funzione legata al lavoro preparatorio dell’opera, pensiamo alla matita. Il disegno è spesso bozzetto, studio, la formazione preliminare dell’azione dell’oggetto artistico.

Attenti al leone, 2008,  Musée Fesch, Ajaccio
A.R.C. – In questi ultimi lavori, che materiale utilizzi principalmente?
J.S. – Ho riutilizzato la plastilina che avevo usato nei primissimi anni di attività, perché mi piaceva l’idea di un materiale, intanto povero, molto elementare, che nell’ambito dell’arte viene comunque usato per produrre dei bozzetti. Un po’ come tornare all’essenziale.
Negli ultimi tempi, mi divertiva l’idea che l’agire artistico, quello considerato tale, è molto sentito da tutte quelle signore che producono cake design.
Guardare a queste torte pazzesche in pasta di zucchero, ritornando a percorrere però i miei lavori.

A.R.C. Quali sono i temi che ripercorri dei tuoi precedenti lavori?
Musée Fesch, Ajaccio
J.S. I miei soggetti preferiti sono la natura e gli animali. Questo materiale mi permette di mantenere una certa figuratività che avevo ritrovato e mai percorso, a partire dagli autoritratti di “Specchio delle mie brame” (2000-2003) e dai grandi disegni “Monumenti provvisori” (2007-2012). Prima c’era un’astrazione organica, c’era una forma realistica ma primitiva: la cellula o il blob, una forma molto elementare.

A.R.C. – E’ comunque un ritorno alla scultura?
J.S. – Sì, un ritorno alla scultura.

A.R.C. –Per alcuni tuoi disegni ricordo divertenti equivoci, non voluti. “Morte a Venezia” (2011) realizzato per la Biennale di Venezia, pennarello su carta, è stato interpretato come una stampa.
Torno subito, 2014, L.E.M, Sassari
J.S. Dopo anni di ricognizione attorno al disegno in tutte le sue variabili tecniche, dalla matita su tela, graffite o carboncino su muro, pennarello su carta, su tela ecc..

A.R.C. Come è cambiato il processo creativo?
J.S. – Il processo di creazione è rimasto invariato, mi piaceva riiniziare a lavorare pensando di non avere niente da dire. Essere libera di produrre a prescindere dal senso. E’ un problema dell’arte di tutti i tempi: è vero che se io riconosco la forma non necessariamente capisco il senso.
Mi piaceva ritornare alla libertà del fare, della forma, senza essere legata ad un tema specifico o un impegno specifico, che so una mostra.

A.R.C. – Il tuo interesse è rivolto verso gli animali, la natura. Quali tipi di animali scegli e perché?
Sacco, 2014
J.S. –- spesso i miei lavori avevano un titolo di serie, poi ogni lavoro aveva un sottotitolo o una frase che identificava il pezzo in particolare, ho sempre lavorato partendo da un imput da cui si sviluppavano una serie di situazioni. Questo ultimo lavoro, che non ha un titolo specifico, in questo caso l’idea era quella di utilizzare quello che meglio so utilizzare e concentrarmi sulla vita, sulla vita in generale e in particolare la mia. Ho voluto utilizzare gli animali, la natura come metafora della vita, della mia e quella di tutti.
Gli animali possono avere un ruolo determinato e preciso, dato dalla sedimentazione culturale, dai luoghi comuni. Ho pensato di raccontare tutta una serie di stati d’animo, un po’ come ho fatto con “Specchio delle mie brame”, di raccontare la vita di questi ultimi anni che è veramente feroce, anche per gli artisti.

A.R.C. –Le sculture sono tutte inserite in teche o all’interno di campane di vetro, in una sorta di protezione dall’esterno. E’ un tipo di presentazione che mi fatto venire in mente il romanzo di Andrej Astvacaturov “Il museo dei fetidi” (racconta, attraverso aneddoti grotteschi, l’infanzia dell’autore vissuta in un quartiere di Leningrado degli anni Settanta).
Le teche isolano dall’esterno o hanno la stessa funzione della cornice per un quadro?
Nell'attesa di avere qualcosa da dire 2013, Sassari,
Le fondamenta degli incurabili
J.S. –Entrambe le cose. In parte, l’idea nasce da una cosa che mi colpì anni fa in un negozio, le biosfere in miniatura, delle bolle al cui interno vivevano i gamberetti. Mi aveva affascinato incredibilmente questo mondo a parte, questo microcosmo, che per loro è il mondo. L’universo come il “Museo dei fetidi” di cui mi parlavi.
Alcuni lavori hanno bisogno di una protezione particolare, ma è anche vero che il chiudere, l’incorniciare è sistemizzare un sistema, appunto. Per cui la campana richiama tutta la produzione di presepi, le statue votive e, la teca richiama l’idea del museo, dell’animale impagliato, ma anche vivo. C’è l’idea di produrre un qualcosa che è protetto dal mondo esterno che permetta a questa cosa estremamente fragile di sopravvivere il più possibile.
Mi piaceva l’idea di costruire un mondo in cui l’altro guarda.
Nella sua installazione originaria, realizzata site specific per “Le Fondamenta degli incurabili” nel 2013 a Sassari, “Nell’ attesa di avere qualcosa da dire” aveva le stelle, un cielo stellato, senza costellazioni specifiche. Mi piace l’dea di dare una visione, non solo legata allo spazio in cui la mostra è stata installata, ma anche una dimensione universale.

ARC


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