venerdì 2 gennaio 2015

Corrispondenze - Stefano Serusi 02/01/15

Caro Stefano,
dopo la pausa natalizia eccomi ancora qui.
Ritornando agli argomento con cui ci siamo lasciati, posso dire che la stazione ferroviaria di Tempio è un piccolo gioiello, nei decori e e nelle strutture lignee.
Biasi ha sicuramente dato prova di essere perfettamente nel suo tempo, in buona pace di chi insegue sempre il luogo comune dell’ultima nuova invenzione e polemizza su attardamenti e vecchiume.
C’è ben altro vecchiume nelle nuove accademie, alcuni ritrattisti resteranno nella cronaca certamente, ma a quale scopo intellettuale?

Tempio, Stazione ferroviaria. Telegrafo e Biglietti.
Il tuo riferimento alla Maestà di Lippo Memmi mi permette una connessione con suo cognato Simone Martini e, a delle mie passioni personali. Penso a Guido Riccio da Fogliano e alle tracce lasciate sulla parete dal distrutto mappamondo di Ambrogio Lorenzetti, alla sfortuna per una mancata visione pulita e coerente, e alla Maestà del Palazzo Pubblico, al palazzo stesso.
Uno degli aspetti che più mi colpisce di certi case e palazzi del Duecento e Trecento, riguarda l’essere riusciti a mantenere una certa sobrietà provinciale, aver resistito al Rinascimento ridondante, carnoso del Cinquecento fiorentino o romano. Quando ritrovo intatto, o quasi, il Medioevo rimango stupita e affascinata, felice che enormi natiche, capelli al vento, muscoli poderosi non abbiano corrotto eleganti vesti decorate, angeli che sembrano usciti da una stampa giapponese, Madonne simili a divinità indiane con gli occhi a mandorla. Ti mando due foto del trecentesco fiorentino Palazzo Davanzati, musealizzato da più di mezzo secolo, con tuti i limiti dell’invenzione. Purtroppo, le mie foto non rendono la pulita bellezza dell’architetture e dei decori, non quando vederli dal vivo.
Agli artisti e poeti di quel tempo, soprattutto ai senesi e sicuramente a se stesso, vent’anni fa Mario Luzi ha dedicato un poema bellissimo Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini.
Nel poema Simone Martini ritorna - accompagnato da suo fratello Donato, la moglie di lui Giovanna e sua moglie, Giovanna anche lei, sorella di Lippo Memmi - nel suo ultimo viaggio a Siena da Avignone, dopo un itinerario che l’ha condotto a conoscere la nuova arte, quella fiorentina specialmente, che proponeva una dimensione potente e diversa dalla pittura sottilissima e luminosamente raffinata, che è propria dell’arte senese del Trecento. Simone sente la necessità di portare a sintesi il rapporto tra l’arte e l’artista, fra la terra e il cielo, le parole e il silenzio, tra ciò che si è detto ( dipinto e scritto) e ciò che invece rimane inesprimibile. Simone Martini e Luzi coincidono e si confondono nel travaglio.
Ecco ti propongo due poesie tra quelle che più di altre pongono al centro l’atto materiale del dipingere e i mediocri incidenti del quotidiano, la magnificenza del soggetto e della pittura, e le debolezze della modella: Giovanna.

Ma ora s’ammanta
di tutto l’azzurro
lei, fanciulla. S’introna, s’inaugusta
di limpida maestà.
                                  Subito
a lei s’affronta
ma da più alto luogo,
alata, una figura.
E’ l’angelo, è l’annunzio.
S’incendia l’aria il visibile.
                    Giovanna nella calura si assopisce.
Oh lui dipingerà: dopo, nel tempo giusto.


Giovanna accovacciata
                                       nella pausa
Sotto il masso, con gli occhi
al suo già lungo tempo, sembra, fissi,
ad un corso tortuoso
di riviera a fondovalle
o tesi ad annullarlo il tempo
e il luogo, e ogni fine possibile cominciamento.
La include, presagisce, in sé quell’attimo,
la ingemma nella mandorla di un perpetuante mito...

in Mario Luzi, “Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, Garzanti, Milano,1994


Firenze, Palazzo Davanzati
Accenno appena all’argomento su Gramsci. Penso che ci torneremo. Mi hai dato l’occasione di rileggere alcune pagine del quaderno 13 e, mi fa molto piacere sapere che stai lavorando all’ipotesi che “un ragazzo è trasfigurato - o spera di esserlo - dalla lettura di questo quaderno”.

Mi pare che questo sia comunque per te un lavoro che ha radici più lontane, anche se il “principe” che ritraevi qualche anno fa aveva tutt’altra accezione. Forse sovrappongo ricordi, c’è un tuo lavoro sulla follia del “principe”, poi leggo le pagine sul Principe di Macchiavelli di Gramsci e si va in tutt’altra direzione: “Il Principe prende il posto, nelle coscienze, delle divinità e dell’imperativo categorico, diventa la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume.”
Mi piacerebbe approfondire.
A.R.




Ciao Anna Rita,
ti devo dire che anche io amo quegli ambienti un po' severi, e quando visito certi palazzi mi chiedo proprio come te quale possa essere stata l'impressione di chi li ha abitati nei secoli successivi. Credo si possa trovare nella loro frugalità uno stile profondamente italiano, del resto anche l'architettura di Bramante o di un certo Palladio ai contemporanei poteva sembrare spoglia, e lo era proprio perché nasceva da quella romana antica spogliata, appunto, da furti e riusi, dei suoi ornamenti più preziosi. Anche il Palazzo Ducale ad Urbino mantiene questo senso di misura, e certe sale disadorne fanno pensare all'uso raro e cerimoniale degli arazzi.
Il discorso sul laicismo nel quaderno 13 - più che altrove - è strettamente legato a Machiavelli, che riferiva la necessità per il Principe di attenersi formalmente alla religione del suo popolo, mentre Gramsci propone che lo Stato stesso plasmi organicamente la propria religione civile, con un immaginario e degli ideali propri, quindi non presi in prestito da un credo secolarizzato allo scopo.
Il mio progetto del 2008, che si intitolava Wintergarten, non riguardava la nevrosi del potere, si riferiva al contrario a personaggi inermi come Enrico IV di Pirandello, un malato che crede di essere un re medievale, per il quale la sorella devota ha fatto costruire una scenografia ed una corte fasulla, una cura contrapposta a quella propriamente ospedaliera, da me rappresentata dall'omologazione delle piante all'interno di una serra.
In questo senso posso dire che Wintergarten e il mio progetto attuale sul "nuovo Principe" siano speculari, c'è il pretesto per rileggere il mondo attraverso forme da sovrapporre o accostare a quelle esistenti, tra l'altro con un simbolo in comune, la corona: da una parte quella consolatoria data al folle, dall'altra la corona d'alloro del letterato, dell'eroe. Il Principe gramsciano, a scanso di equivoci, non è più un singolo ma un partito.Tra un paio di settimane ti potrò mostrare qualcosa di più.
A proposito della costruzione di un immaginario che possa condizionare dei comportamenti, da un po' di tempo faccio confluire il mio archivio su questo tema in un blog che prende il nome da un principe etrusco, Vel Saties (http://velsaties.blogspot.it/).

Wintergarten, 2008. Stampa su carta blue back, ferro e vetro reticolare, dim. ambiente.

Stefano Serusi. Wintergarten, 2008. Stendardi in lana da coperte ospedaliere, dimensione ambiente.



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